Lo scorso maggio la Camera aveva approvato la proposta del M5S di riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. L’iter di riforma costituzionale prevede un percorso legislativo diverso da quello ordinario.
La proposta di riforma deve essere ratificata per ben due volte da entrambe le aule del Parlamento, con una pausa di tre mesi dal voto. Se alla seconda votazione la proposta viene approvata, sia dalla Camera che dal Senato con la maggioranza di due terzi di entrambe le Aule, la riforma viene allora promulgata e diventa legge, dopo essere stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Se invece la riforma viene vagliata con maggioranza assoluta è possibile che venga sottoposta a referendum. Il Senato ha espresso il voto, per la seconda e ultima volta ottenendo, la prevista maggioranza assoluta fissata a 161, rinviando il ddl all’esame della Camera.
La modifica agli art. 56, 57 e 59 della Costituzione, prevedono la riduzione del numero dei parlamentari da 945 a 600. Nello specifico, la Camera dei deputati passerebbe dai 630 attuali a 400, di cui 8 eletti nelle circoscrizioni estero, invece di 12. I senatori, invece, dai 315 attuali passerebbero ad essere 200, di cui 4, e non più 6, eletti nelle circoscrizioni estero. Un risultato storico, di cui la lega, il M5S che FdI si intestano la paternità convinti di aver raggiunto un duplice obiettivo: tagliare i costi della politica e rendere più snella l’attività legislativa.
Oggi i cittadini italiani possono contare su uno dei livelli più alti di rappresentanza nelle istituzioni dello Stato, con la riduzione del numero di parlamentari, diventerebbero invece fra i meno rappresentati in confronto agli altri Paese Ue. Allo stato attuale, infatti, il numero di deputati, rispetto alla popolazione garantiscono una rappresentanza di 1 deputato ogni 100.000 abitanti. Con la riforma, questo indice scenderebbe allo 0,7% per i deputati e per i senatori si passerebbe da una rappresentanza di 0,5 per ogni 100.000 abitanti a un indice di 0,3.