Il primo giorno da premier di Sébastien Lecornu è stato tutt’altro che ordinario. Nominato da Emmanuel Macron per succedere a François Bayrou, sfiduciato appena 48 ore prima, Lecornu ha debuttato nel pieno della più vasta mobilitazione sociale dell’anno: il movimento “Blocchiamo tutto” ha portato in piazza quasi 200mila persone in tutta la Francia, secondo le stime del Ministero dell’Interno. Il bilancio è pesante: 473 fermi, centinaia di roghi urbani e tensioni diffuse da Parigi a Rennes, passando per Lione e Tolosa. Il movimento, nato sui social e privo di una leadership ufficiale, ha catalizzato il malcontento contro il piano di austerità da 44 miliardi proposto dal precedente governo. Tagli alla spesa sociale, soppressione di festività e riforme fiscali hanno acceso la miccia di una protesta trasversale, sostenuta da sindacati, studenti e frange radicali di sinistra e destra. Lecornu, ex ministro della Difesa e fedelissimo di Macron, ha scelto di non evitare lo scontro. “Serve una vera rottura”, ha dichiarato nel suo primo intervento pubblico, promettendo una nuova fase di governo “più pragmatica e meno ideologica”. Ma il clima resta incandescente. Il partito di Mélenchon ha già minacciato una mozione di censura, mentre Marine Le Pen ha chiesto elezioni anticipate, accusando Macron di “sparare l’ultima cartuccia del macronismo”. La giornata di ieri ha visto oltre 550 manifestazioni e 262 blocchi stradali e ferroviari. A Parigi, il Périphérique è stato paralizzato per ore, mentre davanti ai licei si sono registrati scontri con la polizia e lanci di lacrimogeni. Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha parlato di “mobilitazione strumentalizzata”, ma ha riconosciuto la portata dell’evento. Per Lecornu, il cammino è già in salita. E la Francia, ancora una volta, si scopre divisa e in fermento.
