Dopo decenni di latitanza e potere incontrastato, Ismael “El Mayo” Zambada García, storico leader del cartello di Sinaloa, si è dichiarato colpevole davanti alla Corte del Distretto Est di New York. L’ammissione, arrivata il 25 agosto, riguarda due capi d’accusa: associazione a delinquere e gestione continuativa di un’organizzazione criminale. La sentenza, attesa nelle prossime settimane, potrebbe tradursi in ergastolo. A 77 anni, El Mayo era l’ultimo grande capo del narcotraffico messicano ancora in libertà. Collaboratore e cofondatore del cartello insieme a Joaquín “El Chapo” Guzmán, ha orchestrato per oltre trent’anni il traffico di cocaina, eroina, metanfetamina e fentanyl verso gli Stati Uniti. La sua cattura nel 2024, avvenuta a El Paso grazie alla collaborazione del figlio di El Chapo, Joaquín Guzmán López, ha segnato un punto di svolta nella lotta al narcotraffico. La dichiarazione di colpevolezza rappresenta un cambio di strategia: inizialmente El Mayo si era dichiarato innocente, ma l’accordo con i procuratori federali ha escluso la pena di morte, opzione più volte discussa nell’ultimo anno. Secondo il suo avvocato Frank Pérez, “la scelta è stata motivata dalla volontà di evitare una condanna capitale e chiudere dignitosamente un capitolo giudiziario”. La notizia ha avuto ripercussioni anche in Messico, dove le fazioni interne al cartello di Sinaloa si sono scontrate violentemente dopo l’arresto, con centinaia di morti nello stato omonimo. I seguaci di El Mayo considerano il tradimento da parte dei figli di El Chapo come una frattura irreparabile. Con El Mayo dietro le sbarre, si chiude una delle pagine più oscure e longeve del narcotraffico globale. Ma la sua eredità criminale, radicata in reti internazionali e alleanze locali, continuerà a influenzare gli equilibri del crimine organizzato per anni. La giustizia ha parlato, ma la lotta è tutt’altro che finita.
