A giugno le vendite nei negozi italiani sono aumentate rispetto al mese precedente. Lo comunica l’Istat, l’istituto nazionale che raccoglie e analizza i dati economici del Paese. In termini semplici, il valore complessivo degli acquisti è salito dello 0,6 per cento rispetto a maggio. Anche il volume, cioè la quantità effettiva di beni acquistati, ha fatto registrare un piccolo aumento dello 0,4 per cento. La differenza tra valore e volume può essere spiegata dal fatto che se i prezzi aumentano, si può spendere di più anche comprando le stesse cose.
I generi alimentari trainano la crescita
La crescita di giugno è dovuta soprattutto agli acquisti di cibo e bevande. Le vendite dei prodotti alimentari sono infatti aumentate dell’1,4 per cento in valore, mentre in volume, cioè per quantità, l’incremento è stato dell’1,1 per cento. Questo significa che le famiglie hanno comprato un po’ più cibo rispetto a maggio e che i prezzi non sono cresciuti in modo marcato. Al contrario, per tutti gli altri beni, come abbigliamento, articoli per la casa o tecnologia, le vendite sono rimaste stabili. Non si sono registrate variazioni significative rispetto al mese precedente.
Confronto con un anno fa: spesa in aumento, quantità in calo
Rispetto a giugno del 2024, però, il quadro è meno positivo. Le famiglie hanno speso di più, con un aumento dell’1 per cento in valore, ma hanno comprato meno cose, con un calo dello 0,7 per cento in volume. Questo è un segnale che i prezzi potrebbero essere più alti rispetto a un anno fa oppure che le persone sono più caute nei loro acquisti. Il dato suggerisce anche che l’aumento della spesa non corrisponde sempre a un miglioramento reale nei consumi.
Gli alimentari costano di più, ma si comprano meno
Approfondendo il dato sui beni alimentari, l’Istat rileva che le vendite sono salite del 2,8 per cento in valore rispetto a giugno dell’anno scorso. Questo significa che i supermercati e i negozi di alimentari hanno incassato di più. Ma allo stesso tempo, le quantità vendute sono leggermente diminuite dello 0,3 per cento. Le famiglie, quindi, pagano di più per fare la spesa, ma portano a casa un po’ meno rispetto a dodici mesi fa. È un effetto che può derivare dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari, che restano tra i beni più sensibili all’inflazione.
In calo i beni non alimentari
Diverso il discorso per i beni non alimentari, cioè tutti quei prodotti che non si mangiano e che non sono legati all’alimentazione. A giugno 2025 le vendite di questi beni sono scese sia in valore che in volume. Rispetto all’anno precedente il calo è stato dello 0,3 per cento in valore e dello 0,9 per cento in quantità. In parole semplici, si spende meno e si compra meno. Questo potrebbe indicare una minore propensione alla spesa per oggetti non essenziali, oppure una maggiore attenzione ai costi da parte delle famiglie.
Un segnale misto per i consumi
Nel complesso, i dati di giugno offrono un’immagine contrastante. Da un lato c’è un piccolo segnale positivo nel confronto mensile, con vendite in salita rispetto a maggio. Dall’altro lato, il confronto annuale racconta una storia diversa: si spende di più ma si compra di meno. Questo può dipendere da tanti fattori, tra cui l’andamento dei prezzi, l’incertezza economica o le priorità di spesa delle famiglie italiane. L’Istat non entra nei dettagli per settori specifici, ma i numeri indicano che la ripresa dei consumi non è ancora pienamente consolidata.
La fotografia del commercio a metà anno
Giugno chiude il primo semestre del 2025 con un bilancio in chiaroscuro. Mentre i supermercati sembrano reggere, i settori legati al consumo non essenziale mostrano una certa fragilità. Le famiglie italiane si muovono con cautela, spendono soprattutto per il necessario e tendono a ridurre gli acquisti superflui. La dinamica tra valore e volume resta un indicatore importante per capire come si stanno adattando le abitudini di spesa in un contesto economico ancora in evoluzione.