Troppi assegni previdenziali e sempre meno lavoratori. Imprese che chiudono e giovani che rinunciano. Incentivi e sgravi per assumere e una immigrazione di qualità che sappia integrarsi nel tessuto produttivo
Sono resi noti in questi giorni, come da contraltare alla spensieratezza delle vacanze, diversi studi con le dovute proiezioni per un prossimo futuro, sui rischi che l’Italia della previdenza, del welfare e del lavoro sta correndo. Confesercenti scrive di come l’età media degli occupati continua ad aumentare. Oggi siamo a 44,2 anni, mentre tra gli imprenditori si arriva a sfiorare i 52 anni. Va molto peggio per le imprese guidate da under 35 che sono diminuite di oltre 100 mila unità tra il 2011 e il 2023. Un calo netto del 27,6 per cento che segnala un forte indebolimento dell’iniziativa giovanile. Siamo di fronte ad un vuoto che si somma a quello ormai cronico del “gelo demografico”. Il numero di nascite in Italia è in costante diminuzione. Negli anni ’60, in Italia, il baby boom porto ad oltre 1 milione di nati in alcuni anni, come nel 1964. Nel 2024, i nati sono stati 370 mila, tra questi di cittadinanza straniera sono stati 50 mila, il 13,5% del totale.
Conti in bilico ma rischio travolto
Se uniamo i numeri: pensionati, lavoratori e crisi delle nascite; diventa chiaro come la situazione rischia di precipitare.
Al 1° gennaio 2025, l’INPS conta circa 17,99 milioni di pensioni, di cui 13,69 milioni previdenziali e 4,30 milioni assistenziali. Sul fronte dei lavoratori, al 2023 gli occupati dono 26,62 milioni a questo numero si aggiungono 737 mila pensionati che continuano a lavorare, versando anch’essi i contributi. Per l’Istituto di previdenza siamo in una situazione critica ma con una “soglia di semi‑sicurezza”. Il numero degli occupati è risalito in questi ultimi anni, con un rapporto tra attivi (lavoratori) e pensionati che ha raggiunto “1,46”, cioè circa un lavoratore e mezzo per un pensionato. Con un dato che deve far riflettere. Nel Mezzogiorno il numero medio di pensioni (7,21 milioni) supera gli occupati (6,12 milioni). Siamo già ad disequilibrio a livello territoriale.
Piano Mattei e immigrazione di qualità
Se questi sono i numeri c’è da intervenire, e allo stato attuale l’unica via – posto che i lavoratori italiani non basteranno per dare sicurezza al sistema – dobbiamo puntare sulla presenza fattiva e professionalizzata degli immigrati. Il Piano Mattei promosso dal governo e dal premier Giorgia Meloni va in questa direzione. Un Piano che sta avendo il sostegno anche dell’Unione europea che finalmente comprende le ragioni dell’Italia che non può solo e semplicemente ospitare sul proprio territorio persone che una volta tratte in salvo dai barconi, cosa giusta e nobile per l’Italia, non hanno un mestiere e non vogliono integrarsi nelle attività produttive del Paese. Rimane per noi, come per il Governo e l’Europa la massima disponibilità alla integrazione che però deve significare impegno e responsabilità lavorativa. Al Paese va detto in modo chiaro – d’altronde come hanno fatto negli anni 50 l’America, la Germania e la Svezia – una immigrazione di qualità come indicato dal Piano Mattei, prevede selezionare e formare lavoratori in Paesi partner in Africa in primis; per mettere a punto efficaci percorsi di integrazione nel tessuto economico italiano. Bisognerà attuare dove è possibile il riconoscimento dei titoli di studio esteri. Mettere in campo politiche di integrazione per lingua, cultura, e formazione professionale.
Bonus e incentivi ma solo per produrre
Tra le cose da varare, che sono già nel cantiere del Governo le nuove politiche attive per il lavoro, incentivi per i giovani, per le donne, per chi resta a lavorare oltre l’età pensionabile. Serve favorire la staffetta generazionale, con bonus fiscali, sgravi contributivi, incentivi per chi assume.
Basta rinvii ora serve agire
Tutto è ancora possibile, salvaguardare il sistema previdenziale, potenziare un welfare – che non sia il dannoso assistenzialismo che abbiamo toccato con mano pagandone i debiti miliardari – dare spazio alla immigrazione, e costruire un nuovo patto generazionale. Il problema sono i tempi, non possiamo permettere la chiusura delle imprese giovanili, delle piccole attività imprenditoriali come i negozi e i laboratori artigianali, così come un tracollo del sistema pensionistico. Il problema non riguarda solo i conti dello Stato ma quelli delle famiglie, delle imprese, dei servizi, della sicurezza così come della sanità pubblica, la scuola e l’assistenza. In tutto questo non sono ammessi errori e rinvii, serve agire ed è il momento di farlo.