sabato, 21 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Normavirus

C’è un virus in Italia che nessuno riesce a sconfiggere e che non indietreggia neppure di fronte ad un’epidemia ben più seria e letale del malessere cronico che esso determina.

Mi riferisco al virus normativo – o, per dirla con un’espressione mutuata dalla contingenza attuale, al “normavirus” – che sembra contagiare, sempre e comunque, chiunque sia chiamato a dettare leggi, decreti, deliberazioni dello Stato italiano.

“Normavirus” agisce all’incontrario, perché è letale nei confronti dei burocrati che non ce l’hanno. Si azzardassero costoro, evidentemente immuni al virus normativo, a scrivere una norma semplice e chiara ed intellegibile da chiunque. Verrebbero immediatamente espulsi dal sistema: perché la chiarezza, la semplicità, la percezione immediata del significato di una disposizione, farebbe venir meno la loro stessa funzione di sacerdoti cui l’inerme cittadino deve rivolgersi per farsi spiegare cosa lo Stato voglia da lui.

In altre parole il nostro apparato, il nostro sistema, è strettamente legato al latinorum di Don Abbondio. Alla necessità, cioè, che ci debba essere sempre un “prete” (che non a caso è la radice di “interprete”) a spiegare il significato dei precetti.

Laddove, al contrario, il laicismo dello Stato imporrebbe esattamente l’opposto: cioè la capacità per il cittadino di orientarsi da solo: facilmente, senza necessità di dover chiedere al “prete” di turno la strada.

“Normavirus” non si è fermato neanche di fronte alla pandemia del Covid-19.

L’apparato statale e regionale e comunale nel suo insieme, nei quasi due mesi trascorsi dalla dichiarazione dello stato di emergenza (primo febbraio 2020) ad oggi, ha prodotto una serie incredibile di decreti legge, di “dpcm” (sigla ormai famigerata che sta per decreti del Presidente del Consiglio dei ministri), di circolari, di ulteriori provvedimenti per spiegare quelli precedenti.

Creando anche qualche spunto umoristico con l’autodichiarazione per uscire di casa, mutata pressoché giornalmente, fino a tramutarsi quasi – con la pretesa di indicare non solo la ragione generale della sortita all’esterno, non solo il percorso, ma anche il motivo specifico della sua indifferibilità – nel ritornello, del Gianni Morandi degli anni Sessanta «fatti mandare dalla mamma a prendere il latte».

Per tacere dei decreti dei governatori delle varie regioni e delle determinazioni di qualche migliaia di sindaci: quasi un ritorno all’Italia dei comuni, con regole diverse e incerte, giocato però sulla pelle dei cittadini: coinvolti in sanzioni ora ritenute di natura penale, ora meramente amministrative. Sanzioni che, si sa, spaventano solo le persone oneste: chi delinque non si impressiona neppure di una norma che contempli la condanna a morte.

Centinaia di migliaia di sanzioni che sono la riprova – in una situazione sociale generalmente di grande responsabilità da parte degli italiani – proprio della farraginosità delle regole e che alimenteranno per anni la burocrazia che le ha determinate, intasando gli apparati giudiziari cui il cittadino potrà ricorrere.

Il nostro apparato amministrativo, in definitiva – nonostante le buon dichiarate intenzioni di tutelare la salute pubblica e di dare aiuti alla popolazione stremata -, nella realtà e nel concreto, contagiato dal “normavirus” è riuscito soltanto a creare nuova burocrazia.

Nessuno, ad oggi, ha ricevuto un aiuto pubblico al di fuori dell’assistenza sanitaria, perché qualsiasi intervento dello Stato è demandato al compimento di pratiche burocratiche non semplici, da espletare sempre tramite professionisti che vanno compensati, e quasi sempre impossibili da attuare nel presente, perché manca il decreto ministeriale attuativo o il provvedimento di recepimento dell’ente delegato ad erogarlo.

Provviste che – effetto finale e mortale del “normavirus” – verranno ritardate sine die: proprio perché la farraginosità delle norme create consiglierà alla cautela il funzionario che dovrebbe nel concreto approvarle e che non si sente né sicuro, né protetto.

Nel frattempo i cittadini italiani sono allo stremo.

I più fortunati allo stremo psicologico per l’obbligo di dimora: che, ricordiamolo, è un provvedimento giurisdizionale privativo della libertà (art. 283 cod. proc. penale), applicato  a tutti anche in maniera più severa di quanto previsto per un reo.

I meno fortunati, perché sono arrivati al limite della loro capacità economica ed è veramente impossibile richiedere loro qualsiasi altro sacrificio, senza un supporto economico dall’esterno: da dare a chi ne ha bisogno, senza se e senza ma.

Ma, soprattutto, senza intoppi burocratici.

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