La notizia del secondo stupro (almeno tra quelli denunciati) nella realtà immersiva viene questa volta dall’Inghilterra, dove una ragazza di 16 anni ha denunciato di essere stata violentata qualche giorno fa, in persona del suo avatar, da un gruppo di altrettanti soggetti maschili virtuali, su una piattaforma di gioco.
Ian Critchley, il responsabile della protezione minori del National Police Chiefs’ Council (NPCC), ha affermato che il Metaverso ha creato una “porta d’accesso per i predatori, che possono commettere crimini orribili contro i bambini, crimini che sappiamo avere un impatto sia emotivo, sia mentale. Ci aspettiamo molte più azioni da parte delle aziende tecnologiche per rendere le loro piattaforme luoghi sicuri”.
Mi ero permesso di sottolineare questi pericoli in vari scritti, anche in questo Giornale, e li ripeto in occasioni pubbliche, per cui sono noti.
Ad oggi, questa nuova realtà immersiva non pare aver avuto successo, secondo statistiche ufficiali, nemmeno dal punto di vista economico. Chi ci ha fatto investimenti – ovviamente solo grandi marchi – ne e’ rimasto deluso. E i nostri genitori, ma anche chi di noi dovrebbe conoscere maggiormente questo nuovo “fenomeno”, non sanno nemmeno di cosa si tratta. E continuano (continuiamo)a fare la spesa al negozio, al supermercato, ovvero, al limite, sui noti siti di shopping on line.
C’è un allarme di cybersicurezza noto a tutti, e per tutto ciò che, nel web, possa potenziare gli effetti di un’azione criminale. Anche per l’intelligenza artificiale, ma che però è, rispetto al totale anonimato e spersonalizzato metaverso, maggiormente definita e, ad oggi, perimetrabile.
Un’altra violenza di gruppo fu denunciata dalla ricercatrice Nina Jane Patel nel 2022, mentre anche lei si “immergeva” in uno spazio metaversiale di Meta.
Ma questi due casi sono, per fortuna, meno frequenti di altri. Una congerie di 22 crimini sarebbe possibile nel metaverso, secondo uno studio recentemente pubblicato (A scoping study of crime facilitated by the metaverse) proprio dall’University College di Londra: non solo reati sessuali, ma anche genericamente contro la persona, la proprietà, senza dire dei reati finanziari (riciclaggio, truffe, frodi, estorsioni).
Il Ministro dell’interno britannico Cleverly ha ,giustamente, sottolineato come questi episodi non debbano essere derubricati a meno gravi solo perché non “reali”, in quanto , ed è facile immaginarlo in verità, il profilo psicologico della persona fisica attaccata,anche se indirettamente mentre indossava il visore per seguire il proprio avatar,viene in ogni caso violato. Nei metaversi si viene coinvolti cerebralmente, emotivamente, psicologicamente.
Ne deve valere davvero la pena. E si deve essere esperti, di diritto e di economia. Perché le proposte sono svariate ormai. Mi viene spesso citata l’amenità di un concerto o di una mostra frequentati nel metaverso. Il giurista deve su questo chiedersi, al di là del personale gusto (e, sommessamente, della comodità di assistere a qualcosa di non paragonabile ad una manifestazione in uno stadio con amici, o al cinema mangiando pop corn!), se le tutele nell’approccio commerciale e sociale all’evento – pubblicità, pagamenti, rimborsi in caso di mancata erogazione, tutela del consumatore, tutela dell’ordine pubblico- siano garantite al pari di quelle realizzabili nel mondo reale.
Per fortuna le leggi italiane sulla proprietà intellettuale, sulla privacy, sulla riservatezza dei dati e delle relazioni, sull’ordine pubblico, sono avanzate. Il codice penale contempla una serie articolata di reati informatici, in parte applicabili già alle realtà virtuali. Le nostre Autorità dedicate sono all’avanguardia nei controlli. E va ricordato su tutte che la Corte di Cassazione, già nel 2014, statuì che una pagina Facebook va considerata “luogo aperto al pubblico” per cui, in estrema sintesi, si potevano applicare le norme sulle molestie, sullo stalking e sulla minaccia.
Ma, senza essere bacchettoni, del web c’è assolutamente bisogno, e tutti ne dobbiamo fare l’uso consapevole che merita. Leggere che, sempre secondo un istituto britannico (IET), i bambini trascorreranno circa 10 anni della loro vita nella realtà virtuale (ricordo che i giochi sul web ne sono espressione), confesso, non mi dà alcun senso di tranquillità.