domenica, 22 Dicembre, 2024
Attualità

Gli algoritmi senza volto e la trasparenza della PA

Nelle “White Papers” (pagine bianche) dei Ministeri competenti – soprattutto Funzione Pubblica, Giustizia, Sanità ed Economia – mancano riferimenti approfonditi ad una questione che, sempre più di frequente, viene a frustrare i diritti dei cittadini ad interloquire efficacemente con le numerose Amministrazioni pubbliche che hanno adottato la c.d. digitalizzazione dei procedimenti amministrativi: fenomeno che appare inarrestabile, soprattutto dopo il repentino avvento dell’intelligenza artificiale, ma che rischia pure di esaltare le disfunzioni del sistema pubblico, soprattutto quando vengano utilizzate tecniche digitali che bloccano i procedimenti informatizzati di accesso ai servizi offerti.

Il fenomeno si replica d’altronde anche nei rapporti fra privati: si pensi ai contratti on line fra persone fisiche e/o giuridiche.

È lecito perciò domandarsi se quanto accade sia mero frutto di disfunzioni tecniche e non anche di scelte consapevoli e, soprattutto, se esistano rimedi a disposizione delle vittime di questi modi di aggirare gli obblighi di trasparenza e parità di trattamento che gravano sulle pubbliche amministrazioni, estendendo le nostre domande anche al divieto delle pratiche commerciali scorrette, che grava invece sulle imprese private allorché queste ultime decidano di fare uso di interazioni con i loro clienti, anche solo potenziali.

Fu la fantasia profetica di Orwell a prevedere, quasi un secolo fa, quel che appena oggi inizia ad accadere e precisamente che – nell’era, a quel tempo di là da venire, dell’informatizzazione e della digitalizzazione – una delle grandi sfide emergenti sarebbe stata appunto quella relativa all’uso e all’abuso degli algoritmi (anche se allora non venivano denominati così), ma loro crescente pervasività delle nostre vite quotidiane li ha resi ormai indispensabili per molte attività: dalla richiesta di fornire notizie on line sulle nostre condizioni economiche o sanitarie, fino alla necessità di dichiarare il tempo e il luogo della nostra posizione per ottenere le previsioni metereologiche che ci consentano di scegliere il momento più favorevole per raggiungere una meta determinata. Sappiamo perfettamente che la privacy esce a pezzi dal ricorso a simili pratiche, tuttavia continuiamo ad accedere ai siti che le contemplano, rassegnandoci a subirne ogni conseguenza, salvo lamentarcene con amici e colleghi, nessuno dei quali potrebbe far di più che manifestarci inutile solidarietà per quello che ci è capitato.

L’aspetto meno discusso è però quello relativo all’uso degli “algoritmi senza volto” che possono impedire l’accesso a servizi cruciali, in particolare nell’ambito riservato all’esercizio del potere amministrativo o della sottoscrizione di contratti on line.

Per i lettori meno appassionati dal linguaggio tecnico, dirò che gli “algoritmi senza volto” altro non sono che quei processi decisionali automatizzati i quali, senza nemmeno esporne le ragioni, possono bloccare o limitare l’accesso a determinati servizi o l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie a compiere – o ad evitare di compiere – le attività necessarie a soddisfare bisogni determinati (ad es.: portare un’arma per la difesa personale, ottenere il passaporto per espatriare o essere dispensati dal pagamento di una imposta).

Il blocco del procedimento prima che si sia raggiunta la schermata finale che annunci l’acquisizione di tutte le notizie necessarie all’emissione del provvedimento richiesto si traduce dunque in una manifestazione di inefficienza sistematica che penalizza cittadini e imprese, perché – ove il sistema automatizzato rifiuti la richiesta senza fornire una chiara motivazione di quel rifiuto, indicando una persona fisica responsabile della relativa istruttoria – l’individuo si ritroverà impotente di fronte a una barriera presuntivamente tecnica e apparentemente insuperabile.

La mancanza di trasparenza e l’utilizzo arbitrario di algoritmi possono dunque violare gli obblighi di trasparenza e parità di trattamento che gravano sulle pubbliche amministrazioni, perché questi obblighi sono fondamentali per garantire che tutti i cittadini abbiano accesso ai servizi pubblici.

Rispetto, invece, alle imprese private, l’uso inappropriato di algoritmi da parte di chi li impone ai propri clienti potrebbe condurre al compimento di pratiche commerciali scorrette che – oltre a danneggiare la reputazione dell’azienda – potrebbero esporla a sanzioni da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Fortunatamente esistono però rimedi avverso simili accadimenti e li ritroviamo nella più tradizionale scatola di attrezzi che l’ordinamento italiano ha introdotto oltre trent’anni fa per tutelare i cittadini dagli abusi dei poteri pubblici: questa scatola altro non è che la l. 7 agosto 1990 n. 241, correntemente definita come Legge sulla trasparenza amministrativa.

I rimedi previsti in quella Legge vanno dal diritto di richiedere ed ottenere spiegazioni sulle interruzioni dei processi decisionali automatizzati che hanno attinto i richiedenti, fino al risarcimento del danno da questi ultimi subito in esito di dette interruzioni.

 È perciò essenziale che i mezzi di comunicazione di massa inizino ad educare il pubblico sull’importanza della trasparenza algoritmica. Con una maggiore consapevolezza, i cittadini potranno infatti iniziare ad esercitare le debite pressioni sul sistema politico per ottenere che i danni dall’uso degli algoritmi restino comunque inferiori ai vantaggi che ne derivano.

Gli algoritmi sono infatti strumenti di indiscutibile potenza che – ove utilizzati in modo corretto e responsabile – potrebbero effettivamente portare enormi benefici a tutti noi, a condizione che vengano impiegati nel pieno rispetto dei principi di trasparenza e responsabilità e solamente attraverso la consapevolezza dei nostri diritti potremo ottenere, da chi ce ne impone l’utilizzo, che la digitalizzazione porti vantaggi per tutti, senza escludere o penalizzare ingiustamente individui o gruppi, come sta oggi avvenendo nell’indifferenza dei più.

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