Il caso della Giudice Jolanda Apostolico e delle decisioni assunte in materia di immigrati pone in primissimo piano il tema dell’ideologia del giudice e di come questa possa incidere sulle sentenze che è chiamato a pronunciare.
Tema che, per la verità, è sempre presente, ma che normalmente rimane in una sfera molto ristretta e non emerge in maniera pubblica.
Ma, vi assicuro, fin dalla fine degli anni ’70, allorché cominciai la mia lunga carriera di avvocato, ebbi coscienza di ciò. Imparai presto – senza nulla sapere della vita privata e del pensiero dei pretori con cui dibattevo le mie prime cause di sfratto – che il giudice Tizio sarebbe stato tollerante con l’inquilino moroso, mentre il giudice Caio, inflessibile. Potrei fare i nomi, che ricordo nitidamente.
La conciliazione tra l’imparzialità del giudice e la sua ideologia è una questione non nuova, dottrinariamente dibattuta nella sua complessità. I giudici sono tenuti a essere imparziali e basare le loro decisioni esclusivamente sulle leggi e sui fatti presentati, evitando di far prevalere la propria ideologia personale. Concetto astratto, concretamente irrealizzabile: nessun essere umano è (o può essere) completamente privo di ideologie o opinioni personali. E tali opinioni, piaccia o non piaccia, incidono sull’interpretazione e sull’applicazione della legge.
Piaccia o non piaccia il personale sentire ha sempre il suo peso e l’agire o il decidere, secondo scienza e coscienza, non può mai prescindere da ciò che si è. Per farvi capire, ben prima della Giudice Apostolico redigesse la sua prima sentenza, il mio sentire giuridico (che deriva da mio sentire etico e politico) mi faceva avvertire (in questa rubrica, lo scorso 17 settembre): «la Presidente Meloni, preannuncia per domani, provvedimenti nuovi ed inasprimenti di pene e misure che, per come descritte, non mi paiono molto in linea con la nostra Costituzione. Non lo è, per esempio, prevedere (come si è annunciato) una “struttura” in cui contenere migliaia di immigrati fino a 18 mesi. A me pare appena il caso di ricordare che la Costituzione italiana si applica a tutte le persone che si trovano sul territorio italiano, indipendentemente dalla loro cittadinanza… I fondamentali diritto alla vita, alla libertà personale, alla libertà di espressione e a molti altri diritti civili e politici non possono essere messi in discussione: neppure nei confronti di un immigrato irregolare».
La Giudice Apostolico – che con le sue sentenze ha aperto un indirizzo giurisprudenziale seguito da altri magistrati – ha il torto di avere esternato pubblicamente una sua posizione, partecipando alcuni anni fa, ad una manifestazione contro l’allora Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e ad avere espresso sui social una sua chiara posizione, proprio sul tema dell’immigrazione.
Da qui l’accusa di una sentenza politica e di faziosità: anche questa questione non nuova, se già nella seconda metà del secolo scorso nella prefazione di una riedizione del suo “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, Calamandrei annotava: «sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria»; ma senza mai dimenticare l’altro presupposto enunciato che «quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra».
La Giudice Apostolico ha risolto giuridicamente il caso affidato al suo esame sulla base di direttive UE applicate direttamente e di un precedente giurisprudenziale della CEDU: con molte critiche da chi sostiene che quei provvedimenti legislativi UE non sarebbero stati direttamente applicabili. Non ha scomodato la Costituzione, ma mi auguro, da cittadino, che la Consulta venga presto chiamata a stabilire se, per questioni amministrative, si possa privare un essere umano della libertà.
Ma dilungarmi sul caso specifico da cui ho preso le mosse mi allontana dal tema che mi ero proposto.
Anche la Giustizia (concetto filosofico, teniamolo presente) nella sua imperfetta applicazione pratica (l’azione giudiziaria istituzionalizzata) è legata della personalità del suo interprete.
Il nostro sistema giudiziario, per una questione di economicità, dopo avere eliminato il “pretore” (giudice monocratico per definizione; spesso incontrollabile: miei coetanei, ricordate i “pretori d’assalto” degli anni ’60 e ’70?) ha via via limitato il giudice collegiale a pochi casi e alle sole giurisdizioni di secondo grado e di legittimità.
Ha così ridato, nella sostanza, rilievo e forza al sentire individuale.
Perché è indubbio che soltanto la decisione collegiale riduce l’influenza dell’ideologia individuale, costretta a confrontarsi e coordinarsi con quella degli altri.
Ma se il giudice inevitabilmente ha una propria ideologia, altrettanto necessariamente deve garantire la sua indipendenza: elemento imprescindibile accoppiato all’etica professionale che non deve essere mai violata. L’autonomia del giudice, specie quando è monocratico, deve riconnettersi anche alla responsabilità dello stesso, perché il sistema giuridico deve garantire che l’imparzialità prenda il sopravvento nelle decisioni giuridiche e deve potere esercitare il controllo.
Che non può soltanto essere dato dal rimedio dell’impugnazione, ma impone anche una responsabilità (“accountability”dicono nel common law, con un termine dal significato più ampio) in capo al giudice: che nel nostro sistema non ha conseguenze negative, neppure se la sentenza da lui emessa venga definita “abnorme” in uno dei gradi successivi del giudizio.
Ecco, allora: se un giudice collegiale è improponibile per motivi economici, un intervento non punitivo e non legato al caso specifico (io avrei deciso come Jolanda Apostolico), una qualche “accountability” è necessaria per garantire che le persone o le entità che hanno il potere o l’autorità siano responsabili delle loro azioni e che ci sia un controllo sulla loro condotta per prevenire l’abuso di potere o l’irresponsabilità.
Ma soprattutto perché il settore giudiziario tutto, avvocati compresi, riacquisti un prestigio e un affidamento che oggi sembrano perduti.