Un gruppo di ricercatori statunitensi ha eseguito uno studio sulla presenza di microplastiche negli oceani trovando nei tessuti grassi e polmonari di balene e delfini una notevole quantità di frammenti di particelle plastiche che misuravano dai 198 ai 537 micrometri (un capello umano è mediamente spesso 75 micrometri). Secondo il team di biologi la maggior parte dei frammenti di microplastiche trovati nei tessuti dei cetacei sono resti di vestiti, ingeriti durante i pasti di questi mammiferi. Il recente studio denominato “Microplastiche nel grasso, nel melone e in altri tessuti dei mammiferi marini: prove di traslocazione” è attualmente pubblicato on line sulla rivista scientifica ‘Environmental Pollution’.
Lo studio
Per rilevare i dati mostrati nella ricerca i biologi della Duke University Marine Lab e del Dipartimento di ecologia e biologia evolutiva dell’Università di Toronto hanno studiato complessivamente 32 animali marini allevati o arenati tra il 2000 e il 2021 in Alaska, California e Carolina del Nord. Tra le 12 specie di esemplari esaminati c’è anche una foca barbata (Erignathus barbatus), che aveva anch’essa microplastiche nei tessuti. In considerazione che la plastica è lipofila, ovvero che si lega al grasso, il team ha mostrato come le microplastiche si siano trasferite nel grasso che i cetacei hanno sottopelle, nei cuscinetti di grasso presenti nella loro mascella inferiore e nel melone, organo formato da tessuto adiposo che gli odontoceti hanno al centro della fronte; lo studio ha campionato anche i grassi polmonari dei cetacei trovando plastica in tutti e quattro i tessuti. Nella pubblicazione si legge: “La presenza di particelle e fibre polimeriche in questi animali suggerisce che le microplastiche possono uscire dal tratto digestivo e depositarsi nei tessuti”.
Plastica ingerita tramite l’alimentazione
I ricercatori hanno spiegato, evidenziando che la plastica non si scioglie in acqua, che i frammenti ritrovati nei tessuti degli esemplari marini si sono depositati tramite la loro alimentazione. L’autore dello studio, Greg Merrill Jr. del Duke University Marine Lab Merril afferma: “Anche balene e delfini che predano pesci e altri organismi più grandi potrebbero accumulare la plastica che si è accumulata negli animali che mangiano. Non abbiamo fatto i conti, ma la maggior parte delle microplastiche probabilmente passa attraverso l’intestino e viene defecata. Ma una parte di essa finisce nei tessuti degli animali. Per me, questo sottolinea solo l’ubiquità della plastica oceanica e la portata di questo problema. Alcuni di questi campioni risalgono al 2001 e sono l’esempio che questo accade da almeno 20 anni”.
Tipo di plastica trovata
I frammenti più comuni trovati nei tessuti grassi dei cetacei campionati sono le fibre di poliestere, solitamente provenienti dalle nostre lavatrici (che ‘consumano’ i capi) e il polietilene, comune materia che si trova nelle bottiglie di plastica. Il colore dei frammenti era quasi sempre blu. Nella pubblicazione dello studio gli autori statunitensi e canadesi infatti dichiarano: “Le fibre di poliestere, un comune sottoprodotto delle lavatrici, erano le più comuni nei campioni di tessuto, così come il polietilene, che è un componente dei contenitori per bevande. La plastica blu è stata quella con il colore più comune trovato in tutti e quattro i tipi di tessuto”. Greg Merrill del Duke University sottolinea: “Oltre a qualsiasi minaccia chimica rappresentata dalla plastica, i pezzi di plastica possono anche strappare e abradere i tessuti. Ora che sappiamo che la plastica è in questi tessuti, stiamo osservando quale potrebbe essere l’impatto metabolico”.