sabato, 23 Novembre, 2024
Sanità

Sanità trasparente. Verso il Registro pubblico delle donazioni

Consultazione pubblica fino al 17 Settembre

Ci risiamo. In Inghilterra il British Medical Journal mena fendenti. Il caporedattore Kamran Abbasi, di uno dei più autorevoli settimanali al mondo di medicina, ha scritto alla dottoressa Jeanette Dickson, Presidente della Royal College of Radiologist, “per chiedere un sistema trasparente e standardizzato”; in base al quale i college medici del Regno Unito, responsabili della formazione di nuovi dottori, “dichiarino il denaro che ricevono dall’industria e dalle organizzazioni dei pazienti”.

“Sanità trasparente”, avviato l’iter

Quello della trasparenza delle donazioni da parte delle aziende farmaceutiche è una vecchia storia, in alcuni paesi europei anche costellata di memorabili scandali che, proprio ieri, il Ministero della Salute italiano ha ripreso in mano. Sullo schema di decreto che il Governo sta preparando e sul disciplinare tecnico è aperta una consultazione pubblica attiva dal 17 agosto al 17 settembre 2023 per la fase di raccolta dei contributi da parte degli stakeholder. È stato istituito anche un gruppo di lavoro con rappresentanti del Ministero, dell’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), dell’Agenzia per l’Italia digitale (AGID), dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e del Garante per la protezione dei dati personali (GPDP). In Italia la legge 62/2022 promuove la trasparenza dei dati d’interesse pubblico riguardanti le transazioni finanziarie e le relazioni d’interesse tra le imprese e i soggetti operanti nel settore della salute e prevede l’istituzione del registro pubblico telematico denominato “Sanità trasparente”, liberamente accessibile per la consultazione e l’estrazione dei dati secondo gli standard degli Open Data. Di tutto questo, fino a ieri, si erano perse le tracce e i governi precedenti non se ne erano più occupati.

Le aziende si autoregolano

Nel mese scorso, il BMJ, aveva pubblicato un’indagine che rivelava come, dal 2015, i Royal College avessero ricevuto più di 9 milioni di sterline (10,5 milioni di euro) in pagamenti da aziende farmaceutiche. Oltre ai soldi anche dispositivi medici. E questo è stato possibile grazie anche al registro centralizzato. In Italia, invece, non esiste ancora un registro pubblico perché le imprese farmaceutiche hanno un codice di autoregolamentazione che prevede la pubblicazione di “trasferimento di valuta” sotto forma di accordi di sponsorizzazioni di eventi, consulenze, donazioni e contributi. Sono le stesse aziende a pubblicare e certificare i dati sulla base di un codice di trasparenza varato nel 2014 dalla Federazione europea delle associazioni e delle industrie farmaceutiche (Efpia).

Euro for Docs

Una delle più recenti indagini, a spettro europeo, che comprende anche l’Italia, risale al 2021. È firmata dai ricercatori; Martinon, Mulinari, Jachiet e Ozieranski, e utilizza dati, di sette paesi, tratti da Euro for Docs; un sito “volontario” che cerca di sistematizzare le autodichiarazioni aziendali frammentate. La ricerca rivela che 20 aziende farmaceutiche avrebbero distribuito, in tre anni, 735 milioni di euro. In Italia dal 2017 al 2020 mediamente si sono donati una cinquantina di milioni l’anno, a singoli medici e organizzazioni di convegni. Il totale dei pagamenti sono rimasti relativamente stabili nei tre anni nei sette paesi. Più grandi in Spagna (85,1-93,2 milioni di euro) e Germania (66,6-69) e i più piccoli in Svezia (1,9-2,0) e Irlanda (3,6-3,8). Più soldi pagati per consulenze che per eventi nel Regno Unito (77,5%), Germania (66,3%) e Svizzera (56,3%). Al contrario in Spagna (41,4%), Italia (39,0%) e Irlanda (32,3%). Il codice industriale svedese vieta in modo univoco i pagamenti per eventi; quindi, praticamente tutti i pagamenti in Svezia erano per consulenze ai medici.

Serve un Sunshine Act europeo

“È importante sottolineare”, scrivono i ricercatori, “che l’esistenza di un database scaricabile gestito dal settore nel Regno Unito dimostra che il problema dell’inaccessibilità dei dati di pagamento è facilmente risolvibile all’interno del quadro di autoregolamentazione dell’Efpia, ma sfortunatamente nessun altro gruppo commerciale del settore europeo ha seguito l’esempio.” Purtroppo, sostengono i firmatari della ricerca, il problema dell’incompletezza dei dati è dovuto non solo alla riluttanza degli operatori sanitari, ma anche alle normative riguardo la privacy e alle culture nazionali e aziendali di chiusura verso la trasparenza. “Se questo percorso”, si legge nelle conclusioni del report, “non è fattibile in un determinato paese, l’unica alternativa praticabile è che i governi impongano la divulgazione obbligatoria, come esiste negli Stati Uniti, e in alcuni paesi europei. Tuttavia, è importante che tali obblighi di divulgazione siano completi e anche coerenti tra i paesi europei, pertanto un ‘Sunshine Act’ a livello europeo sembra la soluzione preferibile”.

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