Seguiamo da anni le vicende legate alle modifiche continue della normativa sulle società partecipate dagli Enti Locali, fino a giungere al loro Testo Unico. Il trattamento giuridico riservato a questo strumento di gestione dei servizi pubblici locali è molto particolare. Tutta l’impalcatura del Testo Unico sembra finalizzata a contenere al massimo le attività e l’autonomia di queste società che, invero, hanno rappresentato per il passato, un modello gestionale idoneo a produrre efficacia, efficienza ed economicità. È vero però che i Comuni, di questo modello, poi, si sono approfittati e lo hanno piegato al servizio della “loro” politica.
I Sindaci ed i presidenti di Provincie e Regioni hanno composto gli organi amministrativi distribuendo incarichi spesso a professionisti non specializzati in governo e gestione delle imprese.
Spesso, altresì, Sindaci e Presidenti, hanno fatto diventare le loro partecipate, sia maggioritarie che totalitarie, centri per l’impiego di personale.
Il caos dei rifiuti e dei trasporti che regna a Roma potrebbe essere, se così fosse stato nel passato e/o lo fosse ancora, un segno emblematico dei risultati di questo atteggiamento a dir poco antieconomico.
La politica locale, che ha forse più evidenza sul cittadino di quella nazionale, dipende da come gli amministratori pubblici sanno gestire e offrire i servizi pubblici.
Non è bastata l’introduzione dell’autorità nazionale per l’anticorruzione e neppure il Testo Unico sulle Società Partecipate, di cui scrivevamo prima, a frenare aspirazioni di potere locale che su appalti e partecipate ha basato il proprio successo elettorale.
È continuo il susseguirsi di fatti di cronaca che raccontano di gare pilotate e tangenti elargite e riscosse per gli affidamenti di lavori e servizi, come pure è altrettanto diffuso il malcostume della gestione delle cosiddette Public Utilities che si sono messe a completo servizio del politico di turno.
Il governo centrale ha pensato che con una normativa molto restrittiva e piena di controlli avesse potuto arginare il fenomeno della mala gestio, invece, come sempre, non basta la norma ad evitare la corruzione, occorre diffondere la cultura della legalità e della meritocrazia.
Il modello della partecipazione del “pubblico” alla gestione della cosa pubblica non è di per sé sbagliato ed antieconomico, il modello sarebbe valido se fosse utilizzato nella maniera giusta. È lecito che il Sindaco o il Presidente della Regione possa governare i processi politici dell’organizzazione dei servii pubblici che deve offrire ai cittadini ma il progetto politico deve restare tale e non deve andare ad inficiare la governance e a pretendere azioni antieconomiche, a cominciare dalle assunzioni di personale (in esubero).
Se fosse proprio colpa di come è stato interpretato questo modello di gestione a portare la politica al livello di inaffidabilità e di sfiducia cui la colloca una maggioranza di cittadini?
Parliamone e discutiamone. Non sottovalutiamo un argomento di questa portata.