In Italia ogni giorno vengono denunciate circa tre vittime per infortuni sul lavoro.
E’ una strage silenziosa che nel 2022 conta 1090 vittime secondo i dati di Inail (in calo rispetto al 2021 – 10,7%), ma bisogna attendere ancora mesi per avere il definitivo consuntivo. Un dato preoccupante è l’aumento di incidenti mortali fra i più giovani (196 fra i 25-39enni, rispetto ai 153 nel 2021 e 22 fra gli under 20, rispetto ai 10 nel 2021).
Inoltre sono cresciute nel complesso le denunce di infortuni che sono state 698 mila (+25,7% sul 2021). Cosi pure le patologie professionali (+9,9%).
Secondo l’Inail nello scorso mese di dicembre il numero degli infortuni sul lavoro denunciati ha segnato un +24,5% nella gestione Industria e servizi (dai 464.401 casi del 2021 si è passati ai 578.340 del 2022), un -3,6% in Agricoltura (da 26.962 a 25.999) e un +46,3% nello Stato.
Infine , l’aumento degli infortuni sul lavoro denunciati nel 2022 (nel complesso 697.773) è legato sia alla componente femminile, che registra un incremento percentuale maggiore e pari a +42,9% (da 200.557 a 286.522 denunce), sia a quella maschile, che presenta un +16,0% (da 354.679 a 411.251). Anche in questo ambito come si vede il genere femminile è maggiormente penalizzato e questo deve far riflettere.
Bisogna però ricordare che le tabelle dell’Inail non offrono un quadro completo perché riportano solo il numero di denunce ricevute, relative quindi ai soli assicurati presso l’ente ed intere categorie di lavoratori autonomi o forze dell’ordine non ricadono nella loro competenza.
Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, si è perciò impegnata “per rendere più effettiva la sicurezza sul lavoro, per intervenire anche con dei correttivi che rendano più efficaci i controlli”.
Naturalmente le cause che vengono continuamente individuate sono sempre le stesse: mancati controlli degli Ispettorati del lavoro che scarseggiano di personale; non rispetto delle regole da parte di imprenditori disonesti; poi, lo sfruttamento del lavoro nero e la mancanza di sicurezza, la precarietà.
La verità, però, è un’altra e la causa principale viene da lontano: il mancato riconoscimento della dignità del lavoro.
Questo avviene perché, come anche l’Ocse ha documentato, la distribuzione del reddito tra capitale e lavoro è peggiorato radicalmente; I redditi da lavoro, anzi le condizioni del lavoro, regrediscono ed accentuano le disuguaglianze di reddito, ricchezza, potere economico, mediatico, culturale e politico. Le ragioni sono molteplici: l’integrazione globale dei mercati, in particolare lo smantellamento di ogni controllo dei movimenti di capitale, senza standard democratici minimi sia sul versante sociale che ambientale. Il capitale fa shopping globale delle condizioni di lavoro, condizionando la politica e le organizzazioni del lavoro; entrano, così, sulla scena globale, masse enormi di lavoratori di riserva, un miliardo di uomini e donne affamati dalla Cina, dall’India, dal Sud-east asiatico, dal Brasile; si verifica la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale e lavoro come mai prima nel corso del “secolo breve”. Da un lato, il capitale, a caccia di lavoro low cost nelle sterminate praterie dell’economia globale. Dall’altro, il lavoro, regolato nella dimensione locale della politica e del sindacato, sempre più svalutato. (cfr. Cap. XXVI “Industria 4.0 e lavoro” del libro “Il Salvadanaio. Manuale di sopravvivenza economica” di Riccardo Pedrizzi. Editrice Guida – Napoli – 408 pagg. – 18.00 euro).
Si tratta dunque di una “nuova questione sociale”, che va affrontata andando “oltre” il paradigma liberista ed assumendo una concezione radicalmente alternativa dell’uomo, inteso non più come individuo, atomo isolato, ma come persona e, in particolare, persona inserita in una storia, in corpi sociali intermedi, e che anche quando lavora è definita nella sua identità attraverso le relazioni con gli altri e radicato sul territorio.
Del resto anche per la tradizione socialista, socialdemocratica, laburista e comunista italiana del movimento operaio, la persona veniva del tutto annullata essendo la “classe operaia”, l’“operaio massa”, l’aggregato sociale il suo principale riferimento.
Mentre per il pensiero sociale della Chiesa: quel che conta è “il primato dell’uomo sul lavoro e il primato del lavoro sul capitale”.
Insomma sia nel modello liberista che in quello socialista l’uomo viene ridotto ad una serie di relazioni economiche e la persona scompare come soggetto autonomo di decisioni morali.
Per farla riemergere dalle nebbie che ci circondano dobbiamo attingere perciò alla luce della Dottrina sociale cattolica.
Dalla “Rerum Novarum”, nel 1891, con la quale Leone XIII, affrontava proprio la questione sociale, denunciava la sfruttamento dei lavoratori, il lavoro minorile, i tempi del lavoro, il clima invivibile delle fabbriche, il liberalismo ed il socialismo, affermando con forza che il lavoro non è una merce, alla “Quadragesimo Anno”, con la quale Pio XI affrontava, con una intuizione profetica, i nuovi problemi della finanziarizzazione dell’economia, dopo la grande crisi del 1929; indicava la strada della collaborazione tra capitale e lavoro e denunciava un capitalismo senza volto e senza bandiera con la nascita delle società anonime.
Dalla “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II che, dopo aver dato uno sguardo al secolo trascorso, faceva una panoramica sugli scenari contemporanei alla luce del crollo del socialismo reale ed indicava la strada per il futuro che non poteva essere rappresentato dal capitalismo occidentale cosi come si andava prospettando, alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI che oltre ad essere una summa teologica è, come definì qualcuno l’enciclica, il più bel trattato di economia degli ultimi anni che della più grande crisi del dopoguerra individuava la genesi ed indicava le soluzioni e le direttrici di marcia per una nuova antropologia ed una nuova ecologia umana.
Dalla “Evangelium Gaudium” in cui papa Francesco, riprendendo la enciclica “Laborem Exercens” di Giovanni Paolo II, afferma che il lavoro è quella attività in cui “l’essere umano esprime ed accresce la dignità della propria vita e che il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune, fino ad arrivare al discorso che il Santo Padre feceai cantieri dell’ILVA, a Genova, affrontando in particolare il grave problema italiano della disoccupazione: “Chi perde il lavoro e non riesce a trovare un altro buon lavoro, sente che perde la dignità, come perde la dignità chi è costretto per necessità ad accettare lavori cattivi e sbagliati”….
Riccardo Pedrizzi
Presidente Nazionale del CTS dell'UCID