L’immagine più cruda per descrivere come la crisi del lavoro sia una realtà distopica, sono le parole della Cgil di Torino a proposito dello stabilimento Mirafiori. “La metà è vuota. C’è un milione e mezzo di metri quadrati completamente deserto”. Per il sindacato è il simbolo dell’emergenza lavoro. Per rilanciare l’attività, “Ci vogliono nuove produzioni che riportino le auto prodotte a quota 200 mila, quante ne venivano realizzate nel 2006”.
Il rilancio delle tute blu
Lavoro e produzione sono intimamente intrecciati e lo spiega Edi Lazzi, segretario Fiom Cgil di Torino che lancia l’allarme. “Quattro anni fa i dipendenti di Mirafiori erano 15.459 oggi sono 11.336, il 26,7% in meno”, racconta il sindacalista che apre un nuovo scenario che si prospetta come impatto micidiale.
“Nei prossimi sette anni due operai su tre del reparto Carrozzeria, 3.178 addetti, andrà in pensione”. Unica possibilità per dare un futuro alla fabbrica ə quella di “fare assunzioni, e non di interinali ma di giovani con contratto a tempo indeterminato”.
Un segnale dalla politica
A scendere in campo è Stefano Bonaccini, candidato segretario Pd che è andato ai cancelli della fabbrica torinese, “perché bisogna stare a fianco dei lavoratori”. Nel contempo però i dati degli occupati non solo scendono sotto il livello di guardia, ma l’età media degli operai specializzati è di circa 55 anni. L’età in cui si inizia a delineare all’orizzonte l’uscita dal lavoro per la pensione. I progetti di rilancio ci sono e l’azienda li annuncia, il piano produttivo, Stellantis infatti prevede di sfondare quota 100 mila auto l’anno con la produzione della Fiat 500 elettrica.
Problema nazionale
Un piano ambizioso che trova cauti Fiom e Cgil. La sfida per i sindacati non è solo sulla produzione ma sulle nuove assunzioni da fare, tema che partendo dallo stabilimento torinese, diventa un vessillo nazionale. “Nel 2022 a Mirafiori”, spiega Edi Lazzi, “sono state prodotte 88 mila vetture, in crescita rispetto all’anno precedente, ma in forte calo se il confronto si fa con il 2006 quando erano 218 mila”. Secondo il sindacato torinese questi progetti non bastano per salvaguardare e rilanciare l’occupazione. “Se si vuole rilanciare la città occorre rilanciare la manifattura e in particolare l’automotive. Noi continueremo questa battaglia che è una battaglia non solo per Torino ma per tutto il Paese”.
I fondi non spesi
La richiesta è lavoro e salari più alti, ma nel contempo l’Italia sciupa ogni possibilità di utilizzare i fondi per le politiche attive del lavoro. Questa disattenzione è considerata l’ennesimo paradosso. Ci sono a disposizione circa 8 miliardi di fondi europei, – risorse per la programmazione 2014-20 – ancora non spesi e rendicontati al 31 dicembre 2022. Se non saranno spesi entro dicembre 2023 queste risorse potrebbero essere perse. Come spiegano gli analisti si tratta di un pessimo segnale in vista della nuova programmazione comunitaria, 2021-27, che per le voci lavoro, istruzione, formazione e inclusione assegna all’Italia più di 17 miliardi tra programmi nazionali e regionali.
I rilievi del premier
Il problema non è passato inosservato al Governo. Lo ha ben presente il premier, Giorgia Meloni, che nella conferenza stampa di fine anno aveva sottolineato con preoccupazione come, “mentre spendevamo 8 miliardi per dare il reddito di cittadinanza a chi poteva lavorare, l’Italia non spendeva 8 miliardi del fondo sociale europeo”. Si tratta ancora una volta di un paradosso per cui da un lato si fa fatica a trovare una intesa rapida e soddisfacente tra Governo e Parti sociali, e dall’altra rimangono nel cassetto le risorse che sono già disponibili. C’è ad esempio da ricordare che la prossima programmazione del programma “Donne, giovani e lavoro” ha fondi che superano i 5 miliardi per sostenere l’occupazione giovanile e femminile, l’inclusione dei soggetti più vulnerabili, disabili e disoccupati di lunga durata. Piani che hanno necessità di diventare concreti e, ancora una volta, sembra questo il passaggio più complesso e difficile.