Quest’anno 2022 dovrebbe chiudersi per il settore dei giochi con un giro di affari (il giocato cioè) di 135/140 miliardi di euro, un livello mai raggiunto in tutta la storia del gioco, ed un gettito per lo Stato di almeno 12 miliardi (al 30/09/2022 è stato di 10.235) miliardi. Eppure, con queste cifre, il settore non se la passa bene, se si considera che persistono tuttora tutte le situazioni di sofferenza e di difficoltà, che da anni lo affliggono.
Alcune di esse sono “strutturali”: la reputazione resta peggiore persino di quella delle banche e delle assicurazioni a causa principalmente della sua scarsa conoscenza da parte della classe politica, che stenta ad approfondire e studiare con impegno le problematiche per la loro complessità; la frammentazione delle competenze tra diversi ministeri, la cui azione si sovrappone (Interni, Salute, MEF); la sovrapposizione di normative nazionali, regionali e comunali; la pressoché incomunicabilità tra sistema creditizio e settore dei giochi; la mancanza di un Testo Unico che metta ordine a tutta la disciplina; la mancanza di una rappresentanza unitaria di tutto il settore, ognuno gioca per se: segmenti produttivi, pezzi di filiera, le imprese stesse.
Poi ci sono le situazioni di sofferenza contingenti: prima tra tutte le chiusure dovute alla pandemia, che hanno penalizzato questo settore più di tutti gli altri; l’aumento generalizzato dei costi dovuti in particolare ai costi dell’energia; gli aumenti della tassazione sia sui punti di gioco che sui giocatori; l’accelerazione delle migrazioni dal gioco fisico a quello online; il contrasto all’illegalità, che richiede sempre maggiori investimenti in tecnologia ed innovazione; i rinnovi delle concessioni, che avvengono con proroghe amministrative a condizioni dei mercato totalmente cambiate e con il calo dei ricavi delle aziende.
Tutte queste “sofferenze” rappresentano però solamente delle concause che derivano principalmente dalla prospettiva con la quale si affronta tutto il fenomeno del gioco.
Una parte delle istituzioni e molta dell’opinione pubblica vivono tutto il gioco come un autentico problema sociale, amplificandone emotivamente i numeri, le dimensioni e dunque portando a facili strumentalizzazioni tutta la questione. Da ciò deriva che il focus si sia spostato dall’effettivo oggetto di interesse – ossia il giocatore affetto da GAP – al fenomeno generico del gioco. Nel suo complesso la spinta normativa, conseguentemente, non si è concentrata sulla capacità di protezione, recupero e riabilitazione di questo genere di giocatore, bensì su una sistematica lotta al gioco, con conseguenze inefficaci o addirittura negative, spesso proprio per quei giocatori che si intendeva proteggere.
Continuare perciò a depauperare il territorio dell’offerta di gioco fisica con una politica protezionista rischia di dirottare il giocatore verso forme di gioco online, più difficilmente controllabili e più pericolose dal punto di vista del monitoraggio e che, oltretutto, continua a penalizzare anche gli interessi dello Stato, ove si consideri che il gettito dato per i primi 9 mesi di quest’anno è stato di soli 2.02 miliardi su un giocato di 50,91 miliardi del giocato, mentre il gettito del gioco fisico, che ammonta a 45,56 miliardi è stato di ben 7,12 miliardi, cioè tre volte e mezzo di più di quello del gioco a distanza.
Se poi si pensa che questa tipologia di gioco si sottrae ad ogni tipo di vigilanza e di controllo proprio in relazione al preoccupante fenomeno della ludopatia, che si vorrebbe contrastare, si vedrà quanto sia illogica ed inefficace la politica proibizionistica, che viene praticata sul territorio (distanziamento e divieto di pubblicità per il gioco legale ecc. ecc.), che anche per quanto riguarda l’intero comparto ha fallito tutti gli obiettivi che si prefiggeva.
Infatti alla luce delle restrizioni dovute al lockdown, se si confrontano tutti i dati pre e post pandemia, si potrà rilevare agevolmente che mentre la spesa dei giocatori è aumentata da 14,30 miliardi a 14,84 miliardi con più di 540 milioni di euro, il gettito per lo Stato si è fermato a 7,91 da 8,17 miliardi con un meno 260 milioni (Nota: i dati sono relativi al 30/09/2019 e alla stessa data del 2022). Quindi è chiaro che le politiche adottate dallo Stato risultano doppiamente fallimentari, sia perché non hanno contenuto la propensione al gioco dei consumatori sia perché hanno ridotto gli introiti per l’erario.
Questa ovvia constatazione e questo giudizio su come hanno operato le istituzioni e le politiche, lo hanno condiviso, peraltro, tutti gli istituti di ricerca (Censis, Doxa, Eurispes ecc. ecc.) ed anche l’Istituto superiore di Sanità e persino la Corte dei Conti.
La realtà così viene travisata, solo per fare un esempio, quando si confonde scientemente e dolosamente la raccolta complessiva, ovvero l’ammontare di tutte le puntate effettuate dai giocatori con le spese sostenute dagli italiani, tacendo che oltre l’85% ritorna come vincita ai giocatori ed un’altra buona parte viene trattenuta come gettito dello Stato, mentre solo una piccola parte resta a tutta la filiera (dal piccolo tabaccaio e dal barista al distributore ed al concessionario) come ricavi e non come utile d’impresa.
E quindi è estremamente importante che si facciano convegni (l’ultimo è stato organizzato a Parma per iniziativa della multinazionale Codere sul tema “In nome della legalità. Senza regole non c’è gioco sicuro”) e riunioni e si attivi una comunicazione che siano in grado di: monitorare la situazione dei singoli territori e lo stato dell’arte del settore; esaminare l’adeguatezza o meno della legislazione e delle normative vigenti sul piano locale regionale e nazionale; valutare l’impatto di una politica proibizionista sul piano sociale ed economico; della salute del consumatore giocatore; ecc. ecc.; fare proposte per agevolare le attività economiche, ma anche per garantire la tutela della salute pubblica e dell’ordine pubblico; riconfermare la volontà dell’intero settore, di essere disponibili a rappresentare ed a svolgere il ruolo di terminali dello Stato e di garanti della legalità e del rispetto delle regole.
Questa vera e propria ricognizione è tanto più utile dopo quasi 2 anni di pandemia e durante questo periodo emergenziale di guerra e di crisi economica.