Sulle cripto-attività molte chiacchiere e pochi fatti.
Non mi pare infatti più procrastinabile l’adozione di una regolamentazione di primo livello degli Stati europei e di quelli maggiormente esposti, soprattutto dopo la bancarotta di FTX.
Questo evento induce quanto meno a due riflessioni che ai più sembreranno ridondanti e banali, ma che non risultano essere ancora state recepite dalle menti dei decisori politici ed istituzionali.
Senza guardare al profilo potenzialmente criminogeno dell’utilizzo di cripto asset, fermiamoci a quello lecito e tracciato. Il fallimento di mercato riguarda qui una grossa piattaforma autorizzata del trading di
criptovalute, nella quale hanno investito milioni di cittadini e intermediari finanziari nel mondo, compresi, a quanto pare, 100.000 nostri connazionali.
Quello che stupisce più di tutti è il ruolo degli investitori istituzionali (fondi, banche, imprese di investimento), cioè di coloro che per mestiere calcolano rischi ed opportunità. Con fior fior di analisti e strutture che, all’evidenza , hanno miseramente mancato alla loro mission istituzionale. Le regole basiche della finanza –
frazionamento del rischio e informazione della clientela, per tutte – sono state quantomeno colpevolmente ignorate. Con ciò confermando tutto l’allarme che le autorità bancarie europee e non solo continuano a
lanciare sulla rischiosità eccessiva di questi investimenti.
L’altra questione che prepotentemente si pone alla nostra attenzione nel caso di specie è quella delle competenze tecniche e scientifiche sulla materia, che paiono essere ancora troppo deboli e lacunose,
nonostante i proclami di studiosi e intermediari favorevoli alla cashless society e alla disintermediazione dei (più costosi, a detta loro) canali ufficiali del credito e della finanza.
Senza un esame critico delle opportunità, prima, e dei rischi, poi, da parte di ciascuno degli stakeholders, nessuno escluso, il nervo resta scoperto.
Se ci aggiungiamo poi la questione energetica, che sta destabilizzando già abbastanza anche i mercati degli strumenti tradizionali, e che interessa le cryptovalute per l’enorme dispendio (energetico) necessario
alla loro produzione (mining), anche l’Italia deve urgentemente muoversi nel solco delle idee ed istituti giuridici già percorsi , per adattarli alla nuova cryptoeconomy.