L’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina è stato accompagnata da una serie infinita di spiegazioni da parte del Cremlino, alcune delle quali potrebbero essere definite ideologiche, in quanto mettono in evidenza i “presunti” diritti storici della Russia sul territorio ucraino, altre si basano su un’interpretazione distorta degli “interessi di sicurezza” della Russia. In effetti, dietro tutta questa retorica si cela la volontà di Putin di dimostrare agli altri di avere una sorta di diritto sull’Ucraina, ma non un diritto inteso in senso etico-morale né, tantomeno, in senso giuridico. È interessante notare come, nella realtà delle cose, le giustificazioni addotte da Putin per giustificare l’invasione dell’Ucraina riportino alla memoria le motivazioni di uno dei più famosi antieroi della letteratura russa, Rodion Raskolnikov di Fëdor Dostoevskij. Nel capolavoro senza tempo di Dostoevskij, “Delitto e castigo”, il protagonista del romanzo, Rodion Raskolnikov, spiega le ragioni dell’omicidio di una vecchia signora del banco dei pegni e della sua timida sorella Lizaveta, come un crimine insignificante, laddove comparato con il fine ultimo dello stesso: utilizzare il denaro rubato per costruirsi una carriera.
In effetti, nel romanzo, il protagonista arriva a ritenere di avere tutto il diritto di uccidere per rubare. La lotta di Raskolnikov con se stesso, nel tentativo di razionalizzare l’abominevole, ricorda stranamente il ragionamento seguito da Vladimir Putin per giustificare l’invasione dell’Ucraina. Come il protagonista del romanzo di Dostoevskij, anche Putin decide di “chinarsi a raccogliere ciò che era suo”, osando fare ciò che nessun altro aveva fatto: sfidare apertamente – nel caso di Putin – l’ordine mondiale basato sulle regole del diritto internazionale.
Con la Russia che ha sostenuto la dittatura in Siria di Bashar al-Assad ed annesso una parte dell’Ucraina, è plausibile pensare che Putin sia arrivato ad autoconvincersi del proprio “destino manifesto”.
Il mondo per troppo tempo ha guardato incredulo, avendo una reazione molto limitata rispetto ai crimini commessi dalla Russia.
Inizialmente, le sanzioni imposte alla Russia erano di carattere simbolico, talmente superficiali da risultare sostanzialmente inefficaci.
Sempre per proseguire nel nostro parallelo con “Delitto e castigo”, è come se Raskolnikov avesse ucciso apertamente la vecchia del banco dei pegni e sua sorella, e poi avesse camminato per la strada brandendo l’ascia insanguinata, a rimarcare “Vedete? L’ho fatto perché potevo!”.
Con un esame più attento, la “democratizzazione” delle relazioni internazionali, che la propaganda russa ha strombazzato per anni come rimedio contro il “mondo unipolare” guidato dagli Stati Uniti, si è ridotta all’affermazione del diritto della Russia a fare ciò che voleva a spese di coloro che venivano da lei ritenuti più deboli, come nel caso dell’Ucraina.
In poche ore i russi hanno lanciato una vera e propria invasione del Paese vicino, scatenando una macabra orgia di violenza. Pochi nel Mondo e persino nella ristretta cerchia di Mosca lo avevano ritenuto possibile. Hanno parlato di interessi di sicurezza. Hanno valutato i pro e i contro. Hanno però completamente sottovalutato la preoccupazione di Putin di dimostrare semplicemente che “poteva”.
La disavventura per Putin è stata incontrare una reazione forte e determinata da parte del popolo ucraino che, con il pronto sostegno di altri Paesi, è riuscito a fermare prima e respingere poi l’offensiva russa.
Inizialmente a nord di Kiev, poi a Charkiv ed ora a Kherson. La Russia di Putin aveva immaginato questa guerra contro l’Ucraina come una guerra breve e decisiva. Una guerra che le avrebbe portato il riconoscimento che tanto desiderava.
Dopo mesi di combattimenti, Putin è riuscito a dimostrare solo una cosa: che non poteva fare le cose che aveva detto che avrebbe fatto. Non certo per mancanza di tentativi, ma perché – come questi mesi di conflitto hanno dimostrato – l’Ucraina non lo avrebbe permesso.
Difficile sperare per questa storia, lo stesso finale di “Delitto e castigo”, in cui Raskolnikov si consegna spontaneamente alla giustizia e, grazie a questa scelta, non viene giustiziato, ma deve scontare una pena in Siberia.