Nel parco del Pineto, secondo per grandezza a Roma, la Regione Lazio, ha deciso di sterminare con metodi efferati tutti i cinghiali presenti nell’area. Il pretesto, è la prevenzione della peste suina africana, nonostante all’interno dell’area non sia stato rintracciato un solo caso della stessa. Siamo di fronte ad un corto-circuito logico: non c’è traccia di contagio e, se pure ci fosse, la “psa” non è una zoonosi, ossia non esiste possibilità di trasmissione all’uomo; i cinghiali dell’area sono abituati alle persone e del tutto innocui. Perché questo parco è diventato una macelleria a cielo aperto? È impossibile comprendere. La fauna selvatica è proprietà di tutti, e le decisioni della Regione Lazio non dovrebbero ignorare la volontà e la sensibilità popolare. A testimonianza di questo riportiamo quanto denunciato dalla Sfattoria degli Ultimi, che si prodiga per salvare i propri animali d è impegnata in una battaglia per il diritto alla vita di una specie demonizzata, espropriata e sterminata senza pietà.
Il 21 settembre una testimone oculare che passeggiava nel parco del Pineto, dopo aver chiesto inutile aiuto perché aveva scoperto la presenza di cinghiali disperati e urlanti, costretti con evidenza, secondo la testimonianza, dentro gabbie trappola, dove si dibattevano per il terrore e la disperazione. Inorridita è scappata via, poi, tornata sul posto, ha constatato che alcuni teloni verdi coprivano interamente le gabbie all’interno delle quali qualche ora prima si trovavano i cinghiali, perché la gente non vedesse l’orrore perpretrato. Riportiamo di seguito il comunicato della Sfattoria degli Ultimi:
“Tali soluzioni sono inumane e non rispettose di nessuna etica e neppure di alcuna legge, poiché la crudeltà e la tortura integrano il reato di maltrattamento nei confronti di qualsiasi animale. Cosicché nella stessa giornata di ieri ci siamo recati sul posto per capire cosa stesse realmente accadendo e ciò che abbiamo trovato è da considerarsi raccapricciante sotto ogni punti di vista: etico, giuridico, scientifico e sanitario. Delle gabbie e dei cinghiali non c’era più traccia, al loro posto moltissimi pezzi di cinghiale si trovavano disseminati al suolo sul calco lasciato dalle gabbie e seguendo il percorso fin dove iniziano i solchi dei pneumatici del furgone sopraggiunto per portare via tutto. A questo punto le amare considerazioni da fare sono diverse: in primis la biosicurezza, che tanto viene brandita e che pende come una spada di Damocle, sulla Sfattoria, tanto da prevedere il massacro di tutti i maiali e cinghiali con metodi beceri, è oltraggiata in ogni suo minimo principio, con una condotta gravissima che stride con le normative vigenti sulla biosicurezza. In seconda, ma non meno importante, istanza, nessuna mattanza e crudeltà è legalmente consentita, né tantomeno condivisa e avallabile da chiunque si reputi umano. Le istituzioni con tali modalità non rappresentano i cittadini né agiscono in loro nome, viene piuttosto da pensare che tali modalità siano poste in essere per soddisfare i numeri richiesti dalla politica, sempre più silenziosa ma interessata a mostrarsi (falsamente) efficace, e soprattutto violenta. Ci sono soluzioni non cruente a spese zero per la cattura e la locazione di questi animali. È tempo di risposte a viso scoperto. Ed è iniziato il tempo perché la collettività sia consapevole anche di come sono spesi i soldi pubblici. L’Italia è stanca e inorridita da questa mala gestio, che riguarda anche la presenza dei rifiuti, vera causa dell’urbanizzazione dei cinghiali. Invece, grazie all’incapacità politica, che ostacola e ignora realtà come La Sfattoria degli Ultimi, che potrebbero risolvere in modo virtuoso e rispettoso della vita, la questione dei cinghiali inurbati, quello che si sta vedendo da troppo tempo è un farwest, dove pallottole, terrore e sangue, stuprano quotidianamente la natura e la sensibilità degli italiani.”
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