Nel disordine che segna la fisionomia della politica nell’area dell’occidente e che coinvolge grandi alleanze nate nel secondo dopo guerra, come la Nato e le relazioni tra Europa e Stati Uniti, l’Italia riassume in se le ferite delle tensioni sociali e della crisi di credibilità di partiti ed istituzioni.
Abbiamo un governo perennemente a rischio di implosione e di crisi, a distanza di appena pochi mesi dalla sua nascita, e un parlamento dove la riflessione, la tolleranza e l’impegno civico sono sovrastati dalle insofferenze, dai tatticismi esasperati, dal narcisismo, dalla urla e dalla demagogia come moduli di un linguaggio che sembra aver perso, salvo lodevoli eccezioni, i toni alti di un passato non lontano.
L’irruzione nelle aree istituzionali di forze, prodotte da uno stato d’animo ostile ai partiti e alle istituzioni nate all’indomani della Resistenza, che si è tradotta in una progressiva demolizione del prestigio e dell’onore del Parlamento e dei poteri locali, ha segnato il trionfo, si spera temporaneo, dell’incompetenza e del velleitarismo sulla competenza e sullo spirito di servizio.
Ne è eloquente testimonianza la fisionomia del Ministero del Lavoro e degli enti collegati: mancano oggi esperienze e professionalità per far fronte alle centinaia di crisi aziendali che stanno mettendo in forse il lavoro per decine di migliaia di persone.
Né i danni di questa stagione fatta di supponenza e di confusi ideologismi si riscontrano solo a livello di governo; fallimentare è anche il bilancio della gestione di grandi comuni, a cominciare da Roma e da Torino.
Sul Mes, il meccanismo europeo di stabilità, abbiamo rischiato e rischiamo ancora di essere isolati in Europa; sulla prescrizione si profila il baratro di una barbarie giuridica; la manovra economica somiglia ormai a un vestito di arlecchino e la politica estera è una sede vacante.
Siamo perciò d’accordo con quanti sostengono che tollerare l’intollerabile è nemico del bene comune; chi ne ha il potere, con l’anno nuovo, cerchi di dare un taglio.