A sostenerlo qualche settimana fa è stato il Ministro della Salute Roberto Speranza a sostegno dell’impegno profuso da questi professionisti in un settore delicatissimo dell’assistenza sanitaria.
Ad oggi il lavoro usurante, definito da precise normative è legato a benefici pensionistici. I lavoratori e le lavoratrici che svolgono attività usuranti hanno diritto ad accedere al pensionamento anticipatamente, con requisiti agevolati rispetto alla generalità dei lavoratori.
Le mansioni particolarmente usuranti sono indicate da decreti del Ministero del Lavoro e svolte, ad esempio: in miniere o in sotterranei con carattere di prevalenza e continuità; nelle cave di materiale di pietra ornamentale; nelle gallerie; nei cassoni ad aria compressa; dai palombari; ad alte temperature; del vetro cavo; in spazi ristretti (in particolare per attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale) o all’interno di intercapedini, pozzetti o doppi fondi; di asportazione amianto. Sono da considerare usuranti anche il lavoro notturno, la conduzione dei veicoli pesanti adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo, il lavoro alla cosiddetta “linea catena” in alcune lavorazioni individuate dal d.lgs. n. 67 del 21 aprile 2011 o anche nel comparto sanitario per alcune specifiche figure legate a particolari mansioni..
Il beneficio pensionistico, alla luce della legge vigente, è concesso a condizione che l’attività usurante sia stata svolta per almeno 7 anni negli ultimi 10 anni di lavoro o per almeno metà della vita lavorativa complessiva.
Per i professionisti della Sanità legati ad un particolare settore dell’organizzazione sanitaria non si è mai avuto alcun particolare provvedimento in favore.
Preso atto che i lavoratori tecnicamente definiti “standards”, o, altrimenti, “normali”, ossia quelli collocati nella fascia 29-45/50 anni, non evidenziano alcuna specifica rischiosità espositiva conseguente all’età, giacché tanto la disciplina lavoristica che la ricerca medico-statistica non se ne occupano specificamente, grande attenzione deve, invece, essere prestata alla valutazione dei rischi a cui sono esposti i lavoratori che superano i 45/50 anni, definiti, sempre atecnicamente, “maturi”.
Sarebbe opportuno di fronte ad alcune, oggettive, caratteristiche psicofisiche, per tali lavoratori che risultano maggiormente vulnerabili ai pericoli connessi a determinate condizioni di lavoro, come i Pronto Soccorso, avviare una specifica valutazione dei rischi espositivi, di misure tecniche, organizzative e procedurali capaci di tutelare, adeguatamente, la loro sicurezza e la loro salute.
L’individuazione del limite dei 50 anni quale parametro sulla base del quale sancire uno specifico obbligo di valutazione, per così dire generazionale, dei rischi lavorativi, discende, direttamente, dalla lettera della legge, dal momento che è lo stesso Testo Unico Sicurezza ad imporre, all’art. 176 una specifica, ancorché solitaria, misura di tutela per i lavoratori che superano tale soglia.
Il comma 3 dell’art. 176, sancisce, infatti, l’obbligo per il datore di lavoro di sottoporre i lavoratori videoterminalisti che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età (e, correlativamente, il dovere per gli stessi di sottoporvisi) alla visita periodica di idoneità alla mansione non più ogni 5 bensì ogni 2 anni, riconoscendo, evidentemente, nel superamento di tale soglia d’età un maggiore rischio per l’apparato visivo del lavoratore addetto alle attrezzature munite di videoterminale.
Uno studio danese pubblicato qualche anno fa su Occupational & Environmental Medicine ha dimostrato, però, che un lavoro fisicamente e psicologicamente impegnativo rischia di doversi fermare prima degli altri lavoratori per ragioni di salute.. Aumentano anche le assenze per malattia e i periodi di disoccupazione.
I ricercatori invitano i legislatori dei Paesi europei a resistere alla tentazione di fare di tutta l’erba un fascio: l’aumento dell’aspettativa di vita potrebbe indurre a ritardare l’età pensionabile per tutti, bisogna invece fare i dovuti distinguo consentendo a chi ogni giorno mette a dura prova i muscoli di mettersi a riposo prima degli altri. Tuttavia l’età anagrafica non sempre è il parametro ideale in base al quale decidere chi è nelle condizioni di svolgere una professione e chi no.
«Questo studio ha dimostrato che l’impegno fisico e psichico è un fattore di rischio per una aspettativa di vita lavorativa ridotta e per un aumento degli anni di assenza per malattia e di disoccupazione», concludono i ricercatori.I ricercatori sono consapevoli della possibilità che i risultati possano essere condizionati anche da altri fattori, come lo stile di vita, l’obesità, il fumo ecc… Nonostante ciò sono convinti che la fatica fisica abbia un impatto notevole sulla durata dell’attività lavorativa di cui la politica deve tenere conto.