Sul totale dei 27 contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti da Unimpresa e attualmente in vigore si registrano livelli di salario minimo in appena quattro casi. Vuol dire, che oltre l’85% dei contratti firmati da Unimpresa stabilisce una paga oraria superiore a 9 euro. Più in generale, i ccnl presenti nell’archivio Inps per i dipendenti del settore privato hanno un livello di copertura estremamente elevato: riguardano, infatti, un totale di 1,5 milioni di datori di lavoro, pari al 99% delle aziende presenti in Italia, e di 14,7 milioni di lavoratori, pari al 97,6% della forza lavoro impiegata nel settore privato. È quanto emerge da un documento di Unimpresa sul salario minimo, secondo il quale a qualunque livello fosse fissato, un salario minimo in Italia inciderebbe, in misura particolare, sulle piccole e piccolissime imprese del Mezzogiorno;
con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera oppure, in alternativa, ulteriore ricorso al “sommerso”.
“A maggior ragione, in un Paese come l’Italia – dichiara il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe – in cui persistono fenomeni degenerativi cui pare impossibile riuscire a porre freni – i più alti indici, tra i paesi dell’UE, di evasione fiscale, contributiva e lavoro sommerso – l’eventuale determinazione di un salario legale troppo elevato correrebbe il concreto rischio di determinare, esclusivamente, ulteriore ricorso al lavoro nero e/o grigio; senza, peraltro, produrre benefici per quelle migliaia di lavoratori con contratti “pirata” o, addirittura, senza alcuna apparente garanzia contrattuale”.
“Unimpresa è contraria all’introduzione del salario minimo in Italia. Ciò perché la determinazione dei salari è rimessa alla contrattazione collettiva e il modello italiano di relazioni sindacali è caratterizzato da un elevato livello di pluralismo organizzativo per ciascun settore produttivo, sia dal lato dei lavoratori sia da quello dei datori di lavoro e abbraccia oltre il 70% della copertura contrattuale”. (ITALPRESS)