Le donne tra i 25 e i 34 anni con un figlio hanno un tasso di occupazione pari al 49,9%, con due figli del 35,8% e con tre e più figli il tasso si riduce al 21,5%. La presenza di tre o più figli fa comunque registrare un tasso di occupazione pari al 53,1% per le donne tra i 45-54 anni.
“Le statistiche dicono che un aumento del numero dei figli determina drammaticamente una diminuzione del tasso di occupazione femminile: non tener conto di questa brutale verità significa destinare al fallimento ogni intervento che la politica introduca per favorire il lavoro delle donne”. Lo ha detto Mario Mantovani, presidente di Cida, commentando l’ultimo numero dell’Osservatorio sul mercato del lavoro che Cida realizza in collaborazione con Adapt.
“Le nude cifre esaminate nell’Osservatorio – ha aggiunto – ci dicono che se per le donne l’esistenza di uno o più figli ha un impatto diretto sulla riduzione del tasso di occupazione, la stessa dinamica non è rilevabile per i maschi. Insomma, l’aumento del numero di figli non determina una riduzione del tasso di occupazione maschile. Al contrario si registra che il tasso di occupazione maschile è più alto tra coloro che hanno 2 figli (85,6%) o 3 e più figli (82,9%) rispetto a chi ne ha soltanto uno.
Ancora: i dati sul rapporto tra la nascita dei figli e le dimissioni dal lavoro, sono particolarmente preoccupanti perché mostrano ancora oggi, dopo decenni di cui si parla del tema, di come la questione della ‘sostenibilità’ del lavoro sia una meta molto lontana da raggiungere. Un lavoro non sostenibile significa anche un lavoro nel quale non vi sia spazio per compiti di cura e di assistenza che vengono troppo spesso scaricati sulla componente femminile dei nuclei familiari”.
“Una situazione inaccettabile e irragionevole in un contesto nel quale i carichi di cura sono destinati a crescere, e nel quale la denatalità colpisce duramente i paesi occidentali. Tutto ciò ci rende consapevoli del fatto che parlare di occupazione femminile oggi, significa andare molto oltre al mero dato quantitativo, perché occorre allargare l’orizzonte al sistema e alle reti sociali, economiche e politiche del Paese per garantire un approccio al lavoro senza vincoli non detti e non scritti ma paradossalmente più difficili da sciogliere, per ragioni culturali sedimentate nei modelli organizzativi, rispetto ai tanti vincoli normativi che mutano in continuazione. Tornare a occuparsi di lavoro femminile significa quindi, in ultima istanza, ripensare alla nostra società”, ha concluso Mantovani.