Brusche frenate nella crescita economica dei Paesi europei e rischio stagflazione. Spaventa una inflazione al 7% che ricorda quella degli Anni ’90. “A pagare il prezzo accanto alle imprese e al lavoro autonomo che combattono contro i rincari e la scarsità delle materie prime, sono i lavoratori dipendenti e i pensionati che vedranno diminuire ulteriormente il loro potere d’acquisto, già colpito negli ultimi anni. Che cosa fare? Innanzitutto, occorre rinnovare i contratti di lavoro ormai scaduti e rivedere il meccanismo di adeguamento dei salari all’inflazione.
Il meccanismo si chiama IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato) che non pare più adatto per l’attuale situazione, soprattutto perché esclude dal paniere i beni energetici”, dichiara Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e consigliere Inail. “Al fine di non gravare totalmente le imprese dell’aumento dei salari derivante dall’inflazione, il Governo dovrebbe anche detassare gli aumenti retributivi che verranno concordati nel rinnovo dei contratti, analogamente con quanto avviene con il premio di risultato. In questo modo il costo di questi aumenti non varierebbe di molto per le imprese e i lavoratori avrebbero il vantaggio di vedere aumentato il netto in busta paga – sottolinea Damiano -. È noto che a un costo del lavoro per l’impresa di 100 euro corrisponde un netto in busta paga inferiore a 50. Se quel netto diventasse, ad esempio, di 70 euro ci sarebbe un vantaggio per tutti e si darebbe una mano al raffreddamento dell’inflazione”, conclude.