Quasi 85 mila negozi fisici scomparsi in 9 anni, di questi quasi 4.500 durante la pandemia. Questi i numeri che emergono dalla settima edizione dell’osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, con particolare riguardo ai centri storici realizzato da Confcommercio con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne e che “potrebbero essere peggiori nella realtà perché ristori e cassa integrazione hanno congelato la demografia; inoltre, è immaginabile qualche ritardo delle camere i commercio nella pulizia dei registri; poi, una quota di queste chiusure è dovuta a un processo di selezione e di efficienza che non implica una riduzione dei livelli di servizio”, si legge nella relazione.
Oggetto dell’analisi 120 comuni medio-grandi, di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi di media dimensione, escludendo le città di Milano, Napoli e Roma perché multicentriche, dove non è possibile, cioè, la distinzione tra centro storico e non centro storico. Se i consumi in termini reali sono sotto i livelli del 1999, crescono, invece, nel lungo termine le attività legate al turismo anche durante la pandemia. Una crescita tra la fine del 2019 e la metà del 2021 pari all’1,7%, pari a circa 5.600 attività legata a problemi relativi alle cancellazioni effettive e d’ufficio e a questioni relative al congelamento delle attività e all’attesa da parte degli imprenditori di capire se, anche grazie ai ristori, sarà possibile ripartire.