lunedì, 16 Dicembre, 2024
Politica

Chi detta la linea al Conte 2?

Dopo quasi due mesi di Governo Conte 2 forse è presto per chiedersi quale sia la forza politica che influenza di più le scelte dell’Esecutivo.

Abbiamo assistito ad una serie di schermaglie sulla legge di Bilancio e soprattutto sui provvedimenti fiscali. Ma poiché ancora c’è ben poco di definitivo, bisognerà aspettare il vero inizio della sessione di bilancio e l’iter dei provvedimenti collegati per capire quale sia l’orientamento prevalente.

Difficile anche identificare una strategia per ciascuno dei tre partiti che sostengono il Conte 2, anche perché si tratta di tre forze politiche che cercano al proprio interno un equilibrio tutt’altro che facile da comporre.

Il Pd è, probabilmente, il partito che -dopo la scissione di Renzi- ha maggiore omogeneità interna e potrebbe esprimere una linea coerente: si tratta di un riformismo saldamente ancorato all’Europa, attento a non sfasciare i conti, poco propenso a promettere grandi cambiamenti, prudente nella politica fiscale, che non vuole spaventare nessuno strato sociale ma, a differenza degli anni scorsi, con un occhio particolare verso i ceti più deboli. Potremmo definirlo un orientamento da sinistra moderata e con nessuna inclinazione demagogica. È come se Zingaretti avesse deciso di non inseguire i populisti sul loro terreno ma di cercare di dare l’idea di un Pd partito serio, affidabile, che non urla e non strombazza, ma punta a qualche piccolo risultato concreto per alleviare le sofferenze chi più ha pagato la lunghissima crisi.

Su un piano diverso si pongono i 5 Stelle che devono fare molti conti al proprio interno. A parte i 4 o 5 gruppi in cui sono divisi, i pentastellati non hanno ancora scelto se continuare a inseguire alcuni temi su cui Salvini li aveva trascinati (facendogli perdere la metà dei voti), se riprendere il rigorismo giacobino dei primi tempi o se barcamenarsi nella ricerca di consensi tra i gruppi sociali più numerosi per portare a casa un bottino elettorale consistente.

Queste incertezze li hanno portati finora ad assumere posizioni poco coerenti sulla lotta all’evasione fiscale, sul tema delle pensioni e sulla politica industriale che impone scelte coraggiose di fronte al rischio di ulteriori chiusure di grandi aziende, soprattutto al Sud.

Saldamente ancorarti al tradizionale giustizialismo, i 5 stelle ritrovano compattezza solo quando si parla di giustizia, di manette da utilizzare per combattere crimini.

Poco chiara è ancor a la politica nei confronti dell’Europa che se ha abbandonato le follie dei referendum sull’euro e delle polemiche contro i burocrati di Bruxelles non ha ancora identificato una linea chiara di interlocuzione con le istituzioni europee.

Né emerge con chiarezza una politica sociale timbrata 5 stelle a parte il reddito di cittadinanza la cui platea che si sta dimostrando molto meno estesa delle previsioni. Fatte le riforme vetrina (taglio dei parlamentari, delle pensioni cosiddette d’oro, dei vitalizi, legge spazzacorrotti etc..) ben poco rimane sul tavolo.

Quanto a Renzi, sono alte le difficoltà di delineare subito una politica concreta che lo distingua soprattutto dal Pd.

Lo si è visto con la polemica di Maria Elena Boschi che alla Leopolda ha definito il Pd partito delle tasse ed è stata rimbrottata subito sai suoi più stretti amici di fede renziana. Difficile per Renzi allontanarsi troppo dal Pd in cui è stato fino a 45 giorni fa condividendone le scelte. Per quel che si può capire, Italia Viva cercherà di trovare uno o due cavalli di battaglia per differenziarsi dagli altri 2 partiti, attingendo ad alcuni temi che potrebbero attirare deputati e senatori in uscita da Forza Italia. Il garantismo giudiziario potrebbe essere uno di questi; una politica fiscale non eccessivamente dura verso i ceti medio alti e la finanza potrebbe essere un altro filone. Ma oltre questi due campi non si riesce a intravvedere un terreno su cui Renzi possa mettere la bandierina rivendicandone il primato.

In questo contesto piuttosto fluido si può dire che nessuno dei tre partiti abbia la forza per “imporre” una propria visione. E questo lascia al presidente del Consiglio uno spazio di manovra enorme non tanto per poter mediare tra le dichiarazioni sulla stampa di questo o quello ma quanto per prendere in mano lo scettro della guida della politica generale del Governo e di dettare lui una originale linea che, ovviamente non vada in rotta di collisione con nessuno dei 3 alleati.

Per fare questo Conte deve lavorare molto, avvalersi di saggi consiglieri e cominciare a mettere insieme una squadra alla Camera e al Senato che lo supporti direttamente con convinzione lo aiuti a resistere alle pressioni soprattutto di Renzi e Di Maio.

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