Il mondo è cambiato e anche il lavoro non è più lo stesso. Ora, non si può semplicemente riavvolgere il nastro; è necessario prendere coscienza dei mutamenti e farne un punto di partenza.
Questi due anni di pandemia hanno rappresentato per molti un periodo sospeso, un’opportunità per rivedere la scalda delle priorità. La pandemia è stato un punto di rottura per oltre il 58% dei lavoratori a livello globale.
È quanto emerge dalla ricerca “The Working Future” di Bain & Company, realizzata con il coinvolgimento di 20.000 lavoratori e mediante interviste approfondite a più di 100 persone di diversi ceti sociali. Hanno partecipato ben 10 Paesi che rappresentano circa il 65% del PIL globale (Stati Uniti, Germania, Francia, Italia, Giappone, Cina, India, Brasile, Indonesia e Nigeria).
Lavoro: i trend da tenere d’occhio
L’indagine Bain/Dynata ci mostra i trend che stanno modellando il mondo del lavoro. Si tratta di fenomeni non attribuibili in via esclusiva alla pandemia, ma iniziati in precedenza ad un ritmo meno veloce.
In primis, a cambiare sono le motivazioni che spingono le persone a lavorare. Sebbene il compenso resti sul podio, “solo un lavoratore su cinque lo classifica come il fattore principale per la scelta di un lavoro, con la flessibilità che assume un ruolo sempre più importante: per il 12% dei lavoratori italiani è già il primo motivo per scegliere un posto di lavoro”, ricorda Roberta Berlinghieri, partner Bain & Company.
Anche l’approccio al lavoro è mutato. Si distinguono, adesso, sei archetipi di lavoratori: worker bees, givers, artisans, explorers, strivers, pioneers. In Italia il più diffuso è quello dei worker bees, gli operativi. Appartengono a questa categoria le persone che considerano la loro occupazione come un mezzo. Non sono motivati dallo status o dall’autonomia, e preferiscono stabilità e prevedibilità. Pur avendo spirito di squadra spesso mancano di proattività.
Il terzo trend riguarda l’automazione. Il lavoro va verso la ri-umanizzazione poiché si riconosce il valore delle qualità tipicamente umane: la capacità di risolvere i problemi, l’empatia e la creatività. L’automazione sostituirà gradualmente, invece, il lavoro di routine.
Prevedibile il quarto trend relativo al cambiamento tecnologico, che sta rimodulando il rapporto tra lavoratori e azienda: il boom di smart working e gig economy impatta in modo significativo sulla loro interazione.
“L’Italia è, da questo punto di vista, molto frammentata”, evidenzia Berlinghieri “assistiamo a una grande polarizzazione nei desiderata dei lavoratori italiani: il 27% preferirebbe non lavorare mai (o quasi mai) da remoto, il 17% invece opterebbe per 5 giorni a settimana di smart working”.
Infine, un trend che riguarda i più giovani. La crescente pressione psicologica sottopone questa categoria di lavoratori a forte stress. “Solo il 60% dei lavoratori italiani intervistati è soddisfatto della propria professione”, afferma Berlinghieri.
Il 64% dei lavoratori italiani sotto i 35 anni intervistati si sente sopraffatto o sotto stress.
Quali aziende passeranno la prova?
Scopo del rapporto è analizzare come il mondo del lavoro stia cambiando – partendo dai cinque trend – al fine di offrire alle aziende strumenti per valutare le politiche più efficaci da adottare alla luce delle trasformazioni in atto.
Dall’indagine si evince che le aziende più forti si dimostrano quelle capaci di passare da talent taker a talent maker, il che significa investire nella formazione e nella creatività, focalizzandosi sui percorsi di carriera delle risorse e coltivando una mentalità di crescita all’interno dell’azienda.
Fondamentale sarà stabilire un nuovo approccio con i dipendenti: supportare i lavoratori per consentirgli di sviluppare le proprie capacità personali, creando una carriera corrispondente alla loro idea di vita “significativa”.
Infine, le aziende dovranno adoperarsi per costruire un’organizzazione in grado di garantire a ciascun lavoratore opportunità connesse alle proprie peculiarità, pur infondendo visione e valori comuni.