Nell’intenso mese di Novembre in cui si testimonia la lotta contro la Violenza di Genere, occorre avere il coraggio di parlare di libertà.
La discriminazione, la violenza e l’ingiustizia si annidano solo dove manca la Libertà. Il merito maggiore dell’ultima opera cinematografica del regista italo americano Jonas Carpignano, che a lungo ha vissuto e vive ancora a Gioia Tauro, “A Chiara”, che conclude la trilogia, iniziata con Mediterranea e proseguita con A Ciambra, è nel ricordare ai cittadini l’esistenza e l’efficacia del Programma di protezione “Liberi di Scegliere”.
La trama del film è ispirata alle vite dei minori che entrano nello speciale programma di protezione e di allontanamento dalle famiglie di origine, inserite in contesti di ‘ndrangheta e di criminalità organizzata. “Liberi di scegliere” nasce da un protocollo siglato tra Tribunale e Procura per i Minorenni di Reggio Calabria, Ministero della Giustizia, Ministero dell’Interno, Ministero dell’Istruzione, Ministero dell’Università e della Ricerca, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Direzione Nazionale Antimafia, Conferenza Episcopale Italiana e Libera.
Chiara è la figlia di un trafficante di droga, ma è anche la figlia di un padre amorevole, schivo di parole ma non di affetto. La sua Famiglia è declinata tutta al femminile ma lei è l’unica donna a porsi la domanda di chi sono figlia?
Questa domanda pervade il film ed il senso stesso della storia ed è la domanda a cui lo Stato dovrebbe trovare risposte. Le madri dei figli abusanti e maltrattanti, le sorelle delle donne violentate, i figli dei padri omicidi, sanno chi sono?
Spesso la lotta alla criminalità è intesa come coraggio di denunciare. Ma prima delle denunce, prima del processo, prima delle separazione, sussiste il diritto e la libertà per le vittime di scegliere?
Il film di Jonas Carpignano ha il pregio di aprire alla speranza le vite dei cittadini grazie ad una visione, seppur romanzata, dell’intervento che lo Stato può garantire per salvare le vittime. Una speranza che deve ricomprendere anche la violenza domestica e non solo la violenza mafiosa.
Al pari dei figli e delle mogli dei mafiosi, i figli e le mogli maltrattate esigono una programma di protezione preventiva che si concreti nella possibilità di scegliere di andare via dal contesto familiare o dalla comunità in cui risiedono e lavorano, senza che la loro permanenza o la loro sopportazione diventi “colpa” o “prova della reiterazione del reato” o addirittura “corpo del reato”.
Il nodo centrale della riflessione socio giuridica sui rimedi anti-violenza preventivi va incentrato sul vuoto normativo e politico di uno Stato che lascia “sospeso” il destino dei suoi cittadini tra un presente che li fagocita verso l’abisso della violenza e un futuro diverso che neutralizzo gli effetti devastanti delle scelte criminali altrui.
L’abnegazione a codici di omertà e silenzio, nonché la capacità di sopportazione delle vittime ha un solo ed unico rimedio: la libertà di scegliere quale vita vivere.