Ritocchi e aggiustamenti che vanno nella direzione di una imminente ripresa del dialogo tra Governo e parti sociali. Il tema che poi sta a più cuore ai partiti, sindacati – ma anche alle piccole imprese – è quello della previdenza, terreno su cui arriva una schiarita. La “scomparsa” dell’innalzamento dell’età anagrafica per la pensione anticipata delle lavoratrici. Per Opzione Donna, la versione approvata dal Consiglio dei ministri prevedeva un ritocco all’insù dell’età. La soglia decida era 60 anni e 61 per il settore del lavoro autonomo. Ora si torna indietro, cioè avere 35 anni di contributi, e 58 anni o 59 per le lavoratrici autonome. Quindi su questo capitolo è pace quasi fatta con i sindacati. Il requisito anagrafico dovrebbe rimanere fermo a 58 anni anche per il prossimo anno.
Il ricalcolo contributivo
Il ritorno a 58 anni però porta con sé una novità, ossia l’indicazione del premi Draghi, sulla quale non si torna indietro, con la configurazione di una previdenza interamente contributiva dell’assegno pensionistico. Per il Governo la sostenibilità dei conti ha la priorità assoluta. La riforma dovrà avere questo requisito se si vogliono come chiedono i sindacati quella flessibilità i uscita dal lavoro, e taglio dell’età che altrimenti sarà riportata per tutti a 67 anni. Come prevedeva la legge Fornero.
Lega e Pd in pressing
Sul cambio di rotta del Governo su Opzione Donna hanno influito le pressioni esercitate da posizioni politiche opposte di Pd e Lega, e con loro dei sindacati e di associazioni di categoria. Il problema dei fondi da mettere a disposizione è stato superato, perché nel 2019 le richieste per Opzione donna accolte dall’Inps sono state 21.090 e nel 2020 14.510. Quindi la misura viene calcolato, avrà un naturale calo di adesioni e di costi. I partiti di Governo inoltre premono per un cambio in termini di disponibilità per l’Anticipo di pensione, la cosiddetta Ape Sociale, che in questi giorni sta subendo diverse modifiche con l’inclusione di nuove categorie di lavori gravosi.
Contributivo per tutti
Come detto Opzione Donna sarà ripristinata a 58 anni ma con il contributivo, questa linea dal 2023 sarà estesa a tutte le pensioni anticipate. In linea con gli obiettivi del Governo, e sarà la base della nuova piattaforma di accordi con il sindacato, il tutto partendo però dal 2023. Le tensioni infatti sono nate per ciò che l’esecutivo ha deciso per il 2022, con Quota 102 (misura osteggiata dai sindacati) che prevede una uscita a 64 anni d’età e 38 di contributi. L’anno 2022 sarà quindi di passaggio, poi la previdenza sarà tutta contributiva. L’assegno pensionistico sarà calcolato sui versamenti e contributi effettivamente maturati.
Patto generazionale
Il passaggio secondo la visione del Premier offre diverse opportunità, almeno per lo Stato: conti in equilibrio, riallineamento dei diversi trattamenti, una riforma organica con una attenzione al futuro. C’è anche la possibilità per il lavoratore di uscire anticipo, ma l’importo sarà legato a ciò che si è versato. Tema controverso, ad esempio, per il Pd il sistema contributivo va reso più flessibile. Bisogna ampliare la libertà di scelta dei lavoratori sull’età di pensionamento con un ricalcolo della pensione con un assegno che non sia di troppo ridotto. C’è poi un tema generazionale con l’impegno dei partiti e sindacati, che chiedono che venga prevista un’apposita forma di garanzia pensionistica per i giovani.
Fondi da assicurare
Nel suo iter parlamentare la riforma, che il Governo chiede che sia spedita, si concentreranno numerose richieste di modifica della maggioranza. Aggiornamenti e aggiustamenti che richiedono maggiori risorse economiche. In particolare se nella riforma entreranno quei anticipi pensionistici legati ad aziende in crisi, a piccole e micro imprese, ossia tutti vogliono allargare il bacino delle inclusioni previdenziali. I fondi sono per ora limitati, la manovra ha complessivamente una dote di circa 30 miliardi ricavati. Si era passati da 22 a 30 miliardi solo grazie alla maggiore previsione crescita; alla differenza tra il deficit tendenziale indicato al 4,4% del Pil e il deficit programmatico ossia al 5,6% del Pil. Un aumento di risorse può essere possibile, se naturalmente, non ci saranno nuove imprevedibili emergenze.