Domenica scorsa, 11 settembre 2021, ricorreva il ventesimo anniversario dell’attacco all’Occidente da parte di terroristi islamici. Un attacco feroce, vile, inaspettato, che ha usato e cinicamente assassinato, rendendoli martiri, civili inermi ed operosi: i passeggeri dei tre aerei sequestrati ed usati come missili contro obiettivi civili e le migliaia di persone che lavoravano nel World Trade Center.
Mi sono sempre chiesto – nel momento stesso in cui le Twin Towers, le Torri Gemelle di New York, crollavano collassate dall’incendio conseguente all’impatto dei due aerei guidati dai terroristi di Bin Laden – se con esse Al Qaeda avesse distrutto soltanto uno dei simboli della civiltà occidentale o la nostra civiltà medesima.
L’emozione, che è ancora vivissima, era molto forte ed intensa mentre vivevo in diretta tramite la televisione la tragedia, appena attenuata dalla tenerezza di un momento intimo che mi piace ora raccontare. Ecco rivedo chiaramente i miei due figli minori, Antonio e Renato, all’epoca di 12 e 13 anni, increduli e muti, evidentemente sbigottiti davanti alla TV. Rivivo ancora con un brivido il loro sussulto al momento del crollo e un lungo silenzio. Poi improvviso un ingenuo commento da uno dei due, rivolto al fratellino: «miiii, siamo storici!». Esprimeva così la sua sensazione di essere stato testimone di una cosa importante. E con orgoglio ricordava di essere salito, in un viaggio a New York di due anni prima, in cima a quel simbolo, inesorabilmente distrutto dall’odio e dalla violenza.
Ci penso spesso a quel giorno.
L’undici settembre ha rappresentato uno spartiacque del nostro modo di vivere.
Da allora i protocolli di sicurezza in tutto il mondo si sono via via fatti più severi, restringendo la sfera delle nostre libertà individuali e collettive. Non solamente negli aeroporti di tutto il mondo, piccati della facilità con cui i terroristi di Al Qaeda si fossero impadroniti di tre aerei contemporaneamente, ma in tutti i settori del vivere civile. Piano piano ci siamo abituati a vedere l’esercito schierato nei luoghi ritenuti sensibili, monumenti, uffici pubblici, a vedere sbarrate le strade, a subire controlli fino ad allora sconosciuti, a confrontarci con leggi sempre più restrittive.
Un sacrificio che è stato generalmente accettato sull’altare della sicurezza: e non so se questa accettazione sia un bene. Con un progressivo crescendo del quale non ci siamo resi conto, ma che ogni giorno in questi ultimi venti anni ci ha resi meno liberi.
Un poco quello che accade in questi giorni in cui la paura del Covid – reale o indotta, neppure su questo ho una certezza – sta generando una cultura conformistica di accettazione quasi unanime di restrizioni via via più severe.
Il mio spirito liberale e libertario mi farebbe tornare alla mia più sincera e originale opinione: nessuna restrizione, ma solo profilassi personale, ciascuno con la propria prudenza.
Ma ho l’onestà intellettuale di ammettere che se avessi dovuto decidere io, qualche provvedimento restrittivo lo avrei preso, per difenderci dal Covid come dal terrorismo. Anche se per me è evidente il pericolo – e l’ho denunciato in qualcuno dei miei articoletti – che, se si accetta una limitazione della libertà per l’emergenza Covid o terroristica, potremo finire a vederci imposte restrizioni per qualsiasi altra ragione che il potere possa ritenere costituisca emergenza.
Perché fin dall’11 settembre 2001 mi è stato chiaro che i terroristi islamici avevano distrutto un simbolo, ma neppure scalfito la nostra civiltà. Sì, ci avranno costretto a limitazioni momentanee, ma non hanno neppure rallentato l’evoluzione della nostra cultura. Che, badate, non ho la pretesa di ritenere superiore a quella musulmana, ma solamente differente e in uno stato evolutivo diverso. Il mondo musulmano deve ancora vivere il suo illuminismo che, ne sono certo, prima o poi arriverà perché neppure quei paesi sono estranei alle pulsioni del mondo.
L’errore che l’Occidente ha rischiato – e rischia ancora – di commettere è esattamente quello suggerito proprio dalla parte più anti-islamica della nostra Società.
Ci arrenderemmo ai terroristi se mutassimo la nostra cultura, il nostro modo di vivere, con una chiusura preconcetta a tutto ciò che proviene dal mondo musulmano.
Ci comporteremmo esattamente come quella subcultura minoritaria anche per lo stesso Islam – la seconda religione al mondo dopo quella cristiana, con poco meno di due miliardi di fedeli – che ha determinato e determina il terrorismo.
Ma la nostra cultura è forte e non è mai “anti”, ma è ispirata alla tolleranza e all’eguaglianza; accetta la diversità e la tutela.
Non accettare l’assolutezza dei terroristi islamici significa vanificare lo scopo di quel clamoroso attentato, degli atti terroristici che l’hanno preceduto e di quelli che l’hanno seguito; fine che era proprio questo: indurci ad adottare un modo culturale di intolleranza del tutto simile al loro.
La tolleranza, l’accettazione della diversità, il rispetto della dignità umana e dei diritti inviolabili di ciascun essere umano, insomma, sono valori nostri, ai quali non potremo mai abdicare.
Va distinta, insomma, la lotta al terrorismo – che deve essere perseguito sempre ed ovunque – dal rifiuto di una civiltà diversa: siamo noi quelli dalla parte della democrazia e del diritto – dalla parte della ragione, dunque. Quindi solo per ciò più forti ed imbattibili.