Meno lavoratori e più pensionati, con i conti Inps sempre più a rischio. A non far affondare la nave delle pensioni e far quadrare i conti dell’Istituto di previdenza sono gli immigrati. È il nocciolo di un argomento spinosissimo, terreno di scontro politico, a colpi di battibecchi tra sovranisti e qualche persona di buona volontà che mostra cifre e spiegazioni che sono a prova di bomba e attacco populista.
Eppure tra semplificazioni e battaglie mediatiche spesso i riscontri e i dati non bastano a placare le doglianze di chi pensa che gli immigrati “tolgano lavoro, futuro e pensioni”, agli Italiani. Proviamo a capire come stanno le cose, se ad esempio, il calo degli immigrati regolari che lavorano rischia di mandare in rosso i conti inps e, quindi, il pagamento delle pensioni agli italiani. Oggi siamo a questi livelli di guardia: 16 milioni di pensionati a fronte di 23 milioni di occupati. Un rapporto di circa due a tre.
Nei prossimi anni, il calo demografico a cui stiamo assistendo impotenti, proseguirà. La fascia di popolazione di età compresa tra i 20 e i 54 anni passerà dai 28 milioni circa attuali a poco più di 20 milioni. Quindi sempre più anziani e meno giovani in età lavorativa, già questo dato dovrebbe far riflettere. In più l’età media dei lavoratori immigrati è di 33 anni contro i 45 di quelli italiani, ed è questo un beneficio per il sistema pensionistico. Ma a quanto ammontano le pensioni pagate dall’Inps agli stranieri? Oggi solo l’1% del totale dei versamenti – per un ammontare di circa 800 milioni – (dati Inps) va agli stranieri, mentre gli stessi lavoratori stranieri che sono circa 2.4 milioni di persone contribuiscono a versare nella casse dell’Istituto 10 miliardi di euro l’anno.
Traendo un primo bilancio, quindi, abbiamo 16 milioni di pensionati italiani contro i 160 mila stranieri, si può dire che a beneficare dei pagamenti sono gli italiani e con loro i conti dell’Istituto di previdenza. Poniamo per paradosso che di colpo non arrivi più nessuno in Italia e che non ci siano più lavoratori stranieri (pare che questo sia il sogno di qualcuno) allora cosa accadrà?
La risposta arriva dall’Inps attraverso il suo XVI rapporto annuale, in questo caso l’Istituto ha stimato che, “in totale assenza di flussi migratorii, da qui al 2040 il paese risparmierebbe 35 miliardi di prestazioni sociali destinate agli immigrati, ma percepirebbe 73 miliardi in meno di entrate contributive, con una perdita netta complessiva stimabile in 38 miliardi di euro: circa 1,7 miliardi per ciascuno dei ventidue anni considerati”. Ossia una catastrofe per i conti dell’Inps e per tutti i pensionati italiani.
A spiegare nel merito come il rapporto tra immigrati e sistema previdenziale, è un meccanismo delicato che va affrontato in modo obiettivo e se possibile in modo pacato e razionale, è Andrea Stuppini, dirigente della Regione Emilia Romagna, studioso dell’argomento per aver approfondito con ricerche e analisi il complesso mondo della previdenza e dell’impatto con l’immigrazione. “Sono almeno tre i motivi per i quali il rapporto tra immigrati e previdenza è peculiare”, osserva Stuppini, “il primo è il requisito minimo di venti anni di contributi per accedere a qualunque trattamento previdenziale che si applica a coloro che rientrano nel sistema retributivo o misto – sono oltre il 12% -: gli immigrati che sono arrivati in Italia in età matura e soprattutto quelli che rientrano nel paese di origine per ragioni lavorative o familiari possono fallire questo traguardo. Il secondo motivo è che per ottenere la pensione occorre fare domanda all’Inps: può sembrare banale, ma negli anni scorsi migliaia di immigrati sono rientrati nel paese di origine senza presentare la domanda di pensionamento, pur avendone i requisiti.
Il terzo motivo sono i requisiti più restrittivi per le pensioni di reversibilità stabiliti dalla legge 189/2002 la cosiddetta Bossi-Fini: se il decesso del coniuge si è verificato prima dell’età pensionabile, al superstite rimpatriato non spetta la pensione di reversibilità”. In base a questi elementi, l’Inps, con il suo ex presidente Boeri, aveva calcolato come negli ultimi anni gli immigrati abbiano lasciato nelle casse dell’Istituto circa 3 miliardi di euro di contributi versati, per prestazioni cui avrebbero avuto diritto se fossero rimasti in Italia. C’è poi un argomento che è il piatto forte di chi accusa gli immigrati di ricevere contributi previdenziali senza averne diritto, tema che si presta a più interpretazioni e scontri durante i talk show televisivi. Se, tuttavia, guardiamo i numeri il fenomeno appare davvero circoscritto.
“L’intensificarsi dei controlli attraverso le banche dati elettroniche”, fa presente Stuppini nella sua analisi su immigrati e sistema previdenziale, “ha permesso di rilevare alcuni casi di truffe perpetrate da cittadini stranieri che sono entrati in Italia attraverso i ricongiungimenti familiari, ma che poi sono risultati risiedere all’estero, i primi paesi citati sono nell’ordine Albania, Marocco e Argentina. Per quanto grave, il fenomeno riguarda in tutto circa 500 casi, per un totale di 10 milioni di euro, e talvolta ha per protagonisti i familiari di ex emigrati italiani”. Infine ci sono studi in numerosi paesi sull’impatto degli immigrati nelle economie nazionali, e finora gli apporti positivi sono stati pressoché unanimi. “L’impatto fiscale dell’immigrazione è stato oggetto di numerosi studi all’estero”, fa infine presente Andrea Stuppini, “come quelli di Smith ed Edmonston nel 1997 negli Usa; di Gott e Johnston nel 2002 nel Regno Unito, di Callejo e Fuentes nel 2010 in Spagna. Studi più recenti si sono svolti in Scandinavia, Argentina, Nuova Zelanda. Quasi ovunque si è riscontrato un apporto positivo degli immigrati alla fiscalità generale. Esiste anche un sito dedicato: ‘immigrationimpact.com’”.