La fiducia che il secondo Governo Conte otterrà dal Parlamento lunedì e martedì ha un significato che va ben oltre la formazione di una maggioranza necessaria per evitare le elezioni anticipate e l’ipotizzato e temuto trionfo della destra nazional-populista di Salvini.
La svolta di cui si parla e che molti, in Italia, in Europa e altrove, auspicano è ben più radicale.
Dal nuovo Governo ci si aspetta che superi la sbornia del populismo in tutte le sue declinazioni, quella sovranista di Salvini e quella basata sull’anti-politica del M5s.
Non è un passaggio da poco.
Il populismo è la malattia peggiore delle democrazie rappresentative e, quando alligna senza freni nella (in)cultura politica di cui si cibano i demagoghi, finisce per contagiare larghe fasce di cittadini e per corrodere dall’interno la stabilità delle istituzioni.
Le elezioni politiche dello scorso anno avevano segnato il trionfo di due forze populiste che si erano coalizzate formando un governo pericolosamente inquinato dalla retorica e dalla pratica populista. Beninteso, esistono partiti populisti anche in altri Paesi europei ma, a parte l’Ungheria in cui domina il dispotismo di Orban, nessuna solida democrazia occidentale aveva mai avuto un governo così populista e antieuropeo come quello italiano.
Per fortuna, Salvini, accecato dal miraggio di poter governare da solo o pressato da chissacché, ha aperto una crisi che ha spaccato il fronte populista e ha fatto tornare in gioco una forza politica “tradizionale” guidata in questa fase da una persona equilibrata come Zingaretti.
Alcuni osservatori internazionali si sono, però, chiesti se questo governo non sia la sintesi di populismo e tecnocrazia, anche alla luce della proposta di Grillo di avere ministri tecnici e sottosegretari politiche che li controllino.
Lo ha fatto il Financial Times con un articolo di Carlo Invernizzi Accetti, docente di Scienza politica alla City University di New York. Secondo lo studioso, la nuova coalizione è la sintesi tra il populismo anti-establishment di Grillo e una sorta di “tecnocrazia” politicamente corretta che vuole rassicurare le istituzioni finanziarie ed europee. Entrambe le parti si ritengono depositarie di una verità che sminuisce le dinamiche della democrazia parlamentare.
Il populisno è convinto che esiste un’unica autentica volontà del popolo mentre la tencocrazia sostiene che esiste solo una corretta soluzione politica.
Questo tecno-populismo -sostiene Carlo Invernizzi Accetti- non è un vero antidoto al nazionalpopulismo di Salvini, ma rischia di rafforzare sia i populisti che i tecnocrati. In buona sostanza il governo Pd/M5S non può essere una squadra di emergenza conto i “barbari” della destra, ma deve trasformarsi in una coalizione di gruppi che condividono alcuni interessi e visioni. L’Italia -conclude lo studioso- ha bisogno di una politica parlamentare vecchia scuola, focalizzata sulla costruzione di un progetto comune che emerga anche da diverse posizioni in campo, non serve l’antipolitica del tecnopopulismo”.
Il nostro giornale tornerà spesso su questi temi. Per ora limitiamoci ad una riflessione. Il Governo Conte deve aiutare a sia i 5S sia il Pd a “migliorarsi” reciprocamente, non radicalizzandosi nelle loro posizioni né creando il mostriciattolo del tecno-populismo ancorché orientato a sinistra.
Come abbiamo già scritto, al governo serve un ancoraggio moderato, centrista che pur non rilevante nei numeri possa in qualche modo fare da equilibratore delle pulsioni contrastanti che ci saranno tra Pd e 5S e che rischiano di convergere entrambe su una forma di antipolitica meno rozza del grillismo dei “vaffa” ma comunque non auspicabile.