Con l’uscita di scena a fine anno di quota 100, la riforma delle pensioni sarà il prossimo accidentato terreno di confronto. Si oscillerà tra dialogo e rotture politiche perché si tratta di un percorso in salita con il premier Draghi che ha idee chiare su numeri e tenuta del sistema previdenziale. Le questioni politiche sono controverse così come i numeri in ballo. Vediamo per capire. È vero, ad esempio, che l’età per accedere alla pensione di vecchiaia ossia 67 anni e la più alta d’Europa, (dove la media è 64) ma nel contempo l’età media dei pensionati italiani è meno di 64 anni per gli uomini e di 62 anni per le donne. Le riforme, infatti, si sono stratificate al punto che negli anni si è passati dalle baby pensioni alla punta massima dei 67 anni. Dal primo gennaio 2022, finita Quota 100, si torna quindi al regime dell’ex ministro Fornero, ai 67 anni di età. Serviranno 42 anni e 10 mesi di contributi e 41 per le donne. Però si aprono già spiragli con le cosiddette: “Misure mirate a categorie con mansioni logoranti”. Il tema pensioni è una questione politica impegnativa e tutti lo sanno. Il tramonto di Quota 100 con l’arrivo di Quota 92 significa trovare nuovi accordi e punti di intesa. Il sasso era stato lanciato dall’ex capogruppo alla Camera del Pd Graziano Delrio, nell’annunciare l’ipotesi l’ipotesi di Quota 92, ed aveva trovato il leader della Lega, Matteo Salvini attento ad un dialogo. Con l’arrivo di Enrico Letta segretario del Pd l’argomento è tornato ad essere tra i punti di rottura.
SI VOLTA PAGINA
Ricordiamo che Quota 100 era cavallo di battaglia della Lega, ma anche dei sindacati. Il primo per motivi ideologici, per i secondi la sperimentazione triennale era in fin dei conti un ammortizzatore sociale per quanti avevano situazioni lavorative precarie
Quota 100 prevedeva almeno 62 anni di età e 38 di contributi. Misura che non ha avuto quel grande successo atteso dalla politica e dai sindacati. Infatti in molti hanno deciso di rimanere al lavoro e non subire la decurtazioni economica.
Ora si volta pagina. Con la chiusura di Quota 100 si tornerà alle regole precedenti. Un balzo di 5 anni: da 62 a 67 anni per andare in pensione. A quei 67 anni contro i quali da anni si battono i partiti di centrodestra. La via d’uscita ossia Quota 92, (30 anni di contributi e 62 anni d’età) è una misura limitata ad alcune categorie a donne e lavoratori impegnati in lavori usuranti. Oltre al numero ristretto di persone che potranno accedervi, un’uscita con soli 30 anni di contributi, vedrà un taglio pesante dell’assegno pensionistico. I sindacati per ora in assenza di decisioni certe del Governo non commentano, l’obiettivo a cui tengono è ottenere una maggiore “flessibilità”. Ma la varietà delle misure per l’anticipo già ci sono: opzione donna (58 o 59 anni); pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne); pensione quota 100 (62 anni di età) fino a dicembre; pensione precoci (solo 41 anni di contributi); pensione anticipata contributiva (64 anni); Ape sociale (63 anni) anche questa misura fino a dicembre.
Insomma le offerte ci sono ma ora sopraggiungono nuove preoccupazioni. Come l’aumento dell’età pensionabile così come prevedono gli scenari formulati dagli analisti. Le proporzioni intimoriscono sindacati e partiti.
Fino alla fine del 2022, infatti, l’età pensionabile per la misura di vecchiaia è bloccata a 67 anni, ma già dal 1 gennaio 2023 potrebbe salire di 3 mesi e richiedere 67 anni e 3 mesi, poi salire di nuovo il 1 gennaio 2025 arrivando a chiedere 67 anni e 6 mesi e dal 2027 potrebbe prevedere un aumento di 2 mesi ogni biennio.
LA RIFORMA DELLE PENSIONI NELL’AGENDA DRAGHI
Per quanto riguarda la pensione anticipata, i requisiti restano bloccati fino alla fine del 2026 ma nel 2027 potrebbe richiedere 43 anni di contributi per gli uomini e 42 per le donne. Sono numeri ma dietro i numeri ci sono migliaia di lavoratori che rimarrebbero disorientati. Con l’interrogativo: meglio la pensione subito con tagli, piuttosto che non sapere quando e se spetterà?
I sindacati in attesa delle mosse del Governo lavorano a nuove ipotesi. Con proposte di estensione della età flessibile e per l’uscita anticipata. Una ipotesi cara a Cgil, Cisl e Uil, sarebbe un passo all’indentro al governo Dini:
pensionamento dai 64 anni di età, purché il lavoratore avesse maturato un trattamento pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (1.288 euro al mese). I sindacati sarebbero pronti anche a portare la soglia anche 1,2-1,5 volte il trattamento sociale, quindi decurtando l’assegno ma in compenso uscire a 62 anni.
Secondo Cgil, Cisl e Uil bisogna allargare le possibilità di uscita per chi ha lavori usuranti e ripristinare per il 2022 anche l’Ape sociale. Con alcune limitazioni, ad esempio, i soggetti che non siano già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero. Infine i sindacati premono per una uscita in favore delle mamme lavoratrici concedendo un bonus, fino a un massimo di un anno, per ogni figlio. Il ginepraio di ipotesi è solo all’inizio. I partiti tacciono. Il premier Draghi terminata la partita del Piano nazionale di Rinascita e Resilienza, dovrà affrontare il tema pensioni. Entrare nel vortice dei partiti con tutto ciò che ne seguirà.