Da fanalini di coda a primi in classifica. Ne è convinto il ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao, che, nel riferire in commissione Trasporti alla Camera sulle linee programmatiche della transizione digitale, martedì scorso ha detto: “Grazie al PNRR, vogliamo e possiamo essere nel gruppo di testa in Europa”. Il Governo infatti, punta alla banda larga per tutti entro 5 anni, anticipando al 2026 il traguardo che il Digital Compass europeo fissa al 2030. Perché ciò accada, però, è necessario accelerare il processo di mappatura e copertura di tutte quelle cosiddette aree griglie ove non sono previsti, nei prossimi anni, investimenti privati in reti ad altissima velocità. Ad oggi solo il 35% del Paese è connesso.
Per i 5S urgenti gli aiuti alle periferie e sud Italia
Secondo il M5S è al Sud che andranno maggiormente indirizzati gli sforzi se si vuole colmare la disomogeneità infrastrutturale, che attualmente ci colloca dietro alla maggior parte dei Paesi europei: “Dobbiamo superare il gap che coinvolge milioni di cittadini – ha sottolineato il capogruppo grillino Emanuele Scagliusi -, che è risultato più evidente durante la pandemia quando si è fatto ricorso allo smart working e alla didattica a distanza”. In questo senso, altri cinque anni di attesa ai pentastellati apparirebbero un traguardo troppo lontano: “Quello che è urgente e necessario – ha fatto presente Scagliusi – è rendere il servizio di connettività totalmente inclusivo prima della scadenza del 2026”.
Il no di FdI ai cinesi nei progetti per il cloud della PA
Il ministro per l’Innovazione tecnologica, forte dei 40 miliardi, forse 49 secondo rumours, del PNRR, guarda con fiducia alla creazione della rete unica in tempi brevi e fissa a inizio 2022 il termine dei bandi di concessioni per la copertura delle aree grigie. Ma non è l’unica grande sfida da vincere. Per un vero processo di innovazione digitale, almeno il 75% delle PA deve usare servizi cloud e trasformare l’80% dei servizi pubblici in servizi on line. Fratelli di Italia dicono no alla partecipazione da parte dei cinesi alla costruzione del sistema:”La sovranità digitale è il tema del nostro tempo – così Marco Silvestroni, Mauro Rotelli, Federico Mollicone, e Alessio Butti, in una nota al ministro -. Sul cloud nazionale e sul cloud europeo ci vuole il controllo pubblico. La presenza di operatori di Stati extraeuropei in Gaia-X, come Huawei e Alibaba, significherebbe minare la base stessa del progetto, ovvero la sovranità digitale europea”.
In Italia troppe poche persone hanno competenze digitali
Ma perché tutto questo sia funzionale, almeno il 70% della popolazione deve diventare digitalmente abile. E qui arrivano le dolenti note per l’Italia. Attualmente, solo il 42% dei nostri connazionali tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, contro il 58% in Europa. E il 17% degli italiani nella stessa fascia di età non ha mai usato Internet, contro il 9% dell’Ue. Perfettamente consapevole, Colao ha, infatti, premesso che il tassello imprescindibile di qualsiasi trasformazione, soprattutto quella digitale, è rappresentato dalle persone: “La formazione continua, di occupati e non, la ricerca scientifica all’avanguardia, la sperimentazione e lo studio, sono importanti tanto quanto i piani di investimento”.
Serve cooperazione tra pubblico e privato
Alfabetizzazione digitale, ammodernamento ed estensione delle infrastrutture digitali, sviluppo del cloud e dell’interoperabilità nella PA, sicurezza dei sistemi informatici, grandi sfide che il governo non può vincere da solo, senza una cooperazione tra pubblico e privato. La chiamata alle armi riguarderebbe tutti, dall’intero apparato pubblico agli imprenditori, compresi artigiani, commercianti, organizzazioni di categoria, liberi professionisti e singoli cittadini, perché “in Italia – secondo Colao – nonostante tutti apparentemente sosteniamo l’innovazione, abbiamo però tradizionalmente vissuto resistenze al cambiamento e velocità di implementazione degli investimenti molto ridotte”.