Dopo un anno di pandemia, c’è molta delusione verso le Regioni e i loro Governatori.
Nel Mezzogiorno, secondo un recente sondaggio del Sole 24 ore, si salva solo Vincenzo De Luca. Per tutti gli altri il barometro segna burrasca. A parte la rabbia per le lentezze e i ritardi della campagna vaccinale, emerge anche un altro forte messaggio, che potremmo semplificare con questa domanda: perché lo Stato non riesce a parlare con una voce sola imponendo criteri validi per tutti? Dopo tutto quello che è successo nel nostro martoriato Mezzogiorno, dopo i conclamati disastri della sanità in Calabria, in Sicilia e in Campania, dopo le giravolte e la confusione nel gestire la pandemia in Basilicata, in Puglia e in Sardegna, ci chiediamo se tutto dovrà ritornare come prima. Si deve cambiar registro non solo nella sanità, ma anche nella pubblica amministrazione, nel funzionamento dei servizi pubblici.
UN SISTEMA BUROCRATICO E CLIENTELARE
Questa pandemia sta mettendo in discussione tante certezze. La prima e forse la più controversa riguarda la sopravvivenza e l’utilità del nostro sistema regionale. che ha prodotto troppa burocrazia, un’ enorme palla al piede per lo sviluppo del Mezzogiorno. Un assetto istituzionale che ha una “sovrastruttura” politica molto spesso estranea alla “struttura” reale della comunità civile. Non è vero che il regionalismo ha irrobustito la democrazia nel Mezzogiorno. Il piccolo cabotaggio e il clientelismo hanno distrutto quasi ovunque il buon governo.
Le Regioni furono concepite dai nostri padri costituenti come antidoto al rigido centralismo che aveva dominato la storia del Regno d’Italia con la Destra e la Sinistra storica, ma anche con il giolittismo e ancor più con il fascismo. Ma si levarono anche tante voci critiche sull’assetto istituzionale che si stava per introdurre nel nostro ordinamento.
Autorevoli costituenti, infatti, sostennero che, nel tempo, il regionalismo avrebbe indebolito e disgregato lo Stato. Iniziò Francesco Saverio Nitti nel ricordare che le Regioni sarebbero state troppo costose per il Bilancio dello Stato. A seguire, espressero le loro critiche anche Benedetto Croce e Concetto Marchesi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, Luigi Preti e Fausto Gullo. Le loro intuizioni si sono tutte avverate: la ricostruzione del Sud è avvenuta nei primi venticinque anni della Repubblica, per impulso della Cassa per il Mezzogiorno e non certo per la nascita delle Regioni.
SCARSA EFFICIENZA
Vivono nel nostro ordinamento da oltre cinquant’anni, ma hanno raggiunto ben pochi obiettivi tra quelli indicati dalla Costituzione. Non si sono registrati grandi progressi sul fronte della riduzione del divario col Centro-Nord, né su quello dell’aumento del reddito per le famiglie meridionali, né tantomeno per le prospettive di lavoro ai giovani. Se Il Mezzogiorno sta soffrendo lo si deve soprattutto all’inadeguatezza e alla scarsa efficienza delle sue Regioni.
È lo Stato che ora deve far sentire la sua presenza. È lo Stato che deve imporre la sua autorità, in un territorio che le Regioni, in questi mesi drammatici di pandemia, hanno ampiamente dimostrato di non saper governare.