mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Politica

La svolta moderata di Conte comincia dalle parole

Il nuovo partito dovrà rimuovere due macigni che erano alla base dell’aggressività verbale ripudiata da Conte: la sicumera di essere dalla parte del Bene e di lottare contro il Male, la presunzione di essere dotati  di una sorta di scienza infusa che non richiede il ricorso all’analisi attenta dei problemi e al confronto con le idee altrui.

“Lo stile è l’uomo” dice l’antico adagio di Georges-Louis Leclerc de Buffon. Applicato alla politica si potrebbe tradurre “Lo stile è il partito”. Ogni forza politica finisce, prima o poi, per diventare anche un “abito”, fatto di modalità lessicali, comportamentali e, a volte, anche estetiche, che i seguaci finiscono per indossare.

Nel suo discorso di insediamento al vertice dei 5Stelle ,Giuseppe Conte ha voluto imprimere anche una svolta di stile a quello che definisce “il mio Movimento”.

Conte si è presentato come il rifondatore che apre una pagina nuova e indica un modo diverso di stare nell’agone della politica. E questa novità consiste anche nell’uso delle parole.

“In passato il M5s è ricorso a espressioni giudicate spesso aggressive ma ogni fase ha la sua storia, dobbiamo essere consapevoli che la politica non deve lasciare sopraffarsi dalla polemica, deve riconoscere anche la bontà delle idee altrui.” Ha detto Conte ai suoi annunciando che il modo nuovo di fare politica inizierà proprio “dall’attenzione alle parole e al linguaggio“.

 

CAMBIAMENTI DI STILE E DI SOSTANZA

È un bell’impegno. Se ritorniamo con la mente alle modalità con cui i grillini sono nati, si sono sviluppati e hanno conquistato il 32% dei voti alle elezioni del 2018, l’annuncio di Conte sembra una svolta epocale. E’ vero che dai tempi del “Vaffa day” il suo ideatore, Beppe Grillo, si è convertito a modi non solo più urbani nella forma ma anche più moderati nei contenuti. La moderazione e la tolleranza verso le posizioni altrui auspicate da Conte implicano però un cambiamento radicale dello stile che diventa anche sostanza.

E non basta indossare vestiti acconci invece di jeans sdruciti, non basta presentarsi con facce rassicuranti invece che con ghigni minacciosi. La svolta moderata, che già due mesi fa annunciava Luigi Di Maio, deve comportare una “metanoia”, un cambiamento di mentalità e di paradigma, non un maquillage per recuperare consensi.

Il nuovo partito dovrà rimuovere due macigni che erano alla base dell’aggressività verbale ripudiata da Conte: la sicumera di essere dalla parte del Bene e di lottare contro il Male, la presunzione di essere dotati di una sorta di scienza infusa che non richiede il ricorso all’analisi attenta dei problemi e al confronto con le idee altrui.

I seguaci di Conte si devono liberare dal residuo manicheismo che ha costituito uno dei motori più potenti del loro trionfo e anche il motivo principale del loro fallimento: una sorta di percezione mistica della loro missione, sganciata da qualsiasi ancoraggio alla realtà e fatta di slogan euforizzanti e insieme narcotizzanti. Come quello ”apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, in cui c’era tutto il disprezzo per l’istituzione di cui entravano a far parte, tutta la presunzione di poter sostituire la democrazia rappresentativa con quella diretta, tutta la retorica anti-casta che considera un seggio parlamentare come una poltrona e non come espressione della sovranità popolare.

È acqua passata, si affrettano a rispondere molti grillini, quando gli si fa notare “come erano”. Ma le conversioni improvvise sono anche quelle più fragili. Per questo Conte, dopo aver richiamato i suoi ad un uso moderato delle parole, farà bene a formare la nuova classe dirigente del nuovo partito iniettando robuste dosi di cultura liberale, di razionalità, di umiltà e dedizione allo studio dei problemi.

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