Nei momenti cruciali della sua storia il popolo italiano si è sempre affidato alle cure delle “élite”, se con questo termine intendiamo i grandi uomini di Stato, gli economisti e i politici che hanno lasciato un segno indelebile nella grande storia del nostro continente. È successo così nel secondo dopoguerra con De Gasperi, Einaudi, Nenni e Togliatti. Sta succedendo ora, in piena pandemia, con altre due grandi personalità che brillano sempre più per saggezza ed equilibrio, sul palcoscenico dalla inconcludenza e della povertà della politica italiana. Non per altro, questo Governo di Unità nazionale è detto dei due Presidenti, Sergio Mattarella e Mario Draghi. Ma, se mi è consentito fare un paragone tra gli anni cinquanta e quelli, altrettanto drammatici che stiamo vivendo, vorrei ricordare che la ricostruzione del nostro paese, al Centro Nord come al Sud, è stata anch’essa opera di grandi ingegni e personalità prestigiose.
LE GRANDI FIGURE DEL MERIDIONALISMO
Politici, Economisti e Banchieri che si sono distinti per il loro alto senso dello Stato o per l’intensa passione civile che hanno manifestato nello svolgimento delle loro funzioni. E, sempre a proposito di “costruttori”, il nostro pensiero non può che rivolgersi ad alcune grandi figure che sono state determinanti per la rinascita del Mezzogiorno. De Gasperi innanzitutto, ma anche Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Manlio Rossi Doria, Gabriele Pescatore e tanti altri ancora. Ma più di tutti si distinse per acume, prestigio e intelligenza politica un altro grande banchiere italiano, meridionale di nascita e milanese di adozione, Donato Menichella.
È questa la tesi che sostiene, in suo interessantissimo articolo pubblicato lunedì scorso su Repubblica, Isaia Sales. Un economista di grande spessore, per lungo tempo parlamentare e soprattutto voce autorevole del nostro meridionalismo. Sostiene infatti Sales che a Menichella, si deve il miracolo economico italiano.
Che fu lui a fondare la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno. E che fu sempre lui a ideare, nel 1950, la Cassa per il Mezzogiorno, utilizzando i prestiti in dollari che la Banca mondiale destinò alle aree depresse del Sud Italia. Tanto per dare un’idea della statura del personaggio, gli storici ci ricordano che era un uomo talmente pervaso dal senso della misura e del dovere che arrivò a ridursi lo stipendio di Governatore della Banca d’Italia. Era di una modestia e di un riserbo fuori dal comune, tant’è che rifiutò la nomina ad Accademico dei Lincei e, caso rarissimo nella storia d’Italia, a quella ben più prestigiosa di Senatore a vita. Un servitore dello Stato discreto, riservato e soprattutto onesto.
LA CONVERGENZA TRA MEZZOGIORNO A CENTRO-SUD
Fu merito suo se nel 1960 alla nostra lira fu assegnato l’oscar delle monete. Ci viene spontaneo allora fare un paragone tra lui e il Presidente Mario Draghi. Ora che a governare la Nazione è stato chiamato l’ex Presidente della Bce, l’interrogativo ricorrente è proprio questo. Riuscirà Mario Draghi a ripetere un nuovo miracolo economico per il il nostro Paese e soprattutto per il Mezzogiorno? Nelle dichiarazione programmatiche in Parlamento e soprattutto nel recente “Focus” sul Mezzogiorno svoltosi la settimana scorsa, su iniziativa della Ministra Carfagna, il Presidente del Consiglio ha dimostrato di avere le idee molto chiare in proposito. Se non riparte il Mezzogiorno, l’Italia non potrà mai competere con la Germania e la Francia, nelle posizioni di leaderchip dell’ Europa che verrà.
Ed è per questo che occorre subito, con l’avvio del Recovery plan, una convergenza del Mezzogiorno con il Centro-Nord. Per ridurre quei divari economici, sociali e civili che impediscono ad aree geografiche così distanti di sentirsi una sola grande comunità nazionale. Se questa convergenza ci sarà, allora il Mezzogiorno, potrà e dovrà svolgere un ruolo da protagonista nei futuri assetti europei, senza dimenticare quel delicato versante geopolitico che è, da sempre, il nostro Mar Mediterraneo