“Il riutilizzo sociale in favore dei soggetti più deboli è il segnale della forza delle istituzioni ma richiede il possesso di competenze e capacità manageriali”. Giovanni Serra, per anni impegnato nella direzione di imprese sociali, oggi tiene corsi di formazione in materia nella sede di Cosenza dell’Università del Volontariato, progetto nato nel 2012 nell’ambito dei Centri di Servizio per il Volontariato.
Professore, quanto è importante insegnare a gestire correttamente i beni confiscati alle mafie?
“È decisivo direi. Basta analizzare i dati per rendersene conto. A fronte di 40mila particelle immobiliari confiscate alle organizzazioni criminali solo alcune migliaia sono effettivamente riutilizzate a fini sociali”.
Questo che cosa significa?
“Significa che, se da un lato, lo Stato, attraverso la magistratura e le forze dell’ordine, svolge una importante azione di contrasto ai sodalizi criminali, andando a colpire l’aspetto patrimoniale e, dunque, limitando la loro capacità di azione ed il welfare mafioso, vale a dire il sostegno finanziario alle famiglie di sodali e fiancheggiatori, dall’altro non si può lasciare che i beni confiscati vengano abbandonati a se stessi perché mancano soldi e competenze. Il riutilizzo sociale in favore dei soggetti più deboli è il segnale della forza delle istituzioni ma richiede il possesso di competenze e capacità manageriali”.
Quale è l’identikit degli studenti che seguono le sue lezioni?
Il corso è rivolto, in particolare, ai giovani. L’idea che ci ha spinti a muoverci in questa direzione è che possano diventare promotori di iniziative e progetti sociali che producano lavoro e sviluppo per i territori locali. Le mie lezioni si sforzano di trasferire nei discenti il senso dell’impegno sociale antimafia ed anche le indispensabili competenze che servono per la gestione di imprese sociali”.
Ritiene che la legislazione in materia sia efficace?
“Bisogna riconoscere che il codice antimafia, recentemente riformato, offre un quadro normativo preciso dei beni confiscati. Il limite, semmai, è un altro”.
Quale?
“Mi riferisco alle risorse da investire per questi beni. Spesso, infatti, arrivano nella disponibilità degli enti locali in condizioni disastrate in quanto le stesse organizzazioni criminali fanno in modo che siano oggetto di raid vandalici. Questo, ovviamente, richiede interventi di ristrutturazione e di adeguamento molto importanti. Servono ingenti fondi che non sono ordinariamente a a disposizione delle comunità locali, né delle organizzazioni degli Terzo settore che li vanno a gestire in base ad appositi protocollo d’intesa”.
Cosa si può fare?
“Penso al coinvolgimento delle Fondazioni bancarie. Negli ultimi anni una esperienza molto importante è stata fatta grazie alla Fondazione Con il Sud, ente non profit privato nato nel 2006 dall’alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e del volontariato, per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno che ha finanziato alcune decine di progetti di riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie. È evidente che si tratta di una goccia nell’oceano. Alcune Regioni hanno anche utilizzato, in via sperimentale, i fondi europei. La vera sfida, comunque, è questa…”.