I cinque punti programmatici, partoriti dalla direzione Pd, come piattaforma per instaurare una intesa con il Movimento Cinquestelle, se da una parte costituiscono un punto di inizio convergente con la volontà del Quirinale di consegnare all’Italia un governo di legislatura, dall’altra manifestano l’incognita legata agli equilibri interni al Partito democratico.
La ritrovata risposta univoca dell’intero partito alla chiamata governativa, non risolve le velleità secessioniste di Matteo Renzi che, nella crisi, ha trovato la sponda per un ritorno da protagonista sulla scena politica.
Non solo, ma la richiesta di discontinuità rispetto all’esecutivo giallo-verde, manifestata dal segretario Zingaretti, pare rispondere più ad una domanda strategica che ad una esplicita volontà programmatica.
L’interrogativo per una effettiva svolta nella risoluzione della crisi coinvolge anche il ruolo del Presidente del Consiglio dimissionario Conte, tirato per la giacca da entrambe le forze politiche per un ruolo extra-governativo.
La stabilità del nostro Paese passa anche da elementi che garantiscano continuità nei rapporti europei ed internazionali, alla luce delle recenti svolte che vedono una Germania in recessione e venti di attriti tra Stati Uniti e Cina.
Relegare una figura di garanzia come quella di Conte ad un ruolo marginale in questo scacchiere in continua evoluzione significherebbe rafforzare, nei nostri partner esteri, la convinzione di una Italia inaffidabile ed imprigionata in una cronica instabilità politica.