Non sarà un’impresa facile, tutt’altro, recuperare sui vuoti nell’economia, nella coesione sociale e negli stessi equilibri anagrafici prodotti dall’imperversare del corona virus e nello stesso tempo scalare la montagna di costumi burocratici, di lentezze procedurali, di pregiudizi retrivi e di incomprensione dei tempi nuovi che bloccano o rendono estremamente faticosi lo sviluppo e la capacità competitiva del sistema Italia.
Un’ulteriore testimonianza di questo stato di cose viene da una ricerca resa nota oggi che rivela come, (ancora in questo) nel tempo della sfida tecnologica che coinvolge tanti aspetti della vita quotidiana, ben uno studente su tre scarta l’idea di accedere a mestieri tecnico pratici e di frequentare istituti tecnici superiori.
Le scelte, cioè, che Draghi ritiene necessarie per poter gestire con nuove e adeguate professionalità le opportunità offerte dal Recovery Fond dell’Unione Europea.
È davvero sconcertante che, ancora oggi, tanti giovani e le loro famiglie continuino a coltivare il mito antico degli studi universitari e dei licei classici.
Segno, questo, di quanto fosse vera la valutazione sconsolata di Salvemini che, riflettendo sullo sviluppo del Mezzogiorno nel secondo dopoguerra, parlò appunto di sviluppo senza progresso: di una società cioè, aperta alla suggestione dei segni del benessere, ma ancora arcaica nei suoi riferimenti valoriali.
C’è quindi bisogno di più informazione e più formazione per le nuove generazioni, come c’è bisogno di una politica di sostegni adeguati alle famiglie se si vuole scongiurare un collasso demografico già prevedibile nel saldo tra nascite e morti.
A segnalare questa urgenza i dati dell’Istat e della Caritas che parlano di una famiglia su cinque e di un milione mezzo di minori costretti a vivere sotto la soglia di povertà.