martedì, 17 Dicembre, 2024
Società

Sant’Egidio: ripensare la società a partire dagli ultimi. Dopo un anno di pandemia, la comunità presenta il bilancio degli interventi straordinari

Dal 9 marzo 2020 Sant’Egidio ha distribuito un numero di pacchi alimentari in tutta Italia tre volte maggiore rispetto all’anno precedente, per un totale di 300mila. Più che raddoppiato anche il numero dei pasti serviti nelle mense della Comunità, così come le cene da asporto per i senza dimora, 120mila a Roma, 58mila a Napoli, 14mila a Torino e 12.500 a Padova. I più colpiti sono state le famiglie monoreddito, gli anziani, le donne sole con figli e i lavoratori precari, mentre la fascia di età maggiormente gravata dall’emergenza è quella tra i 45 e i 55 anni. Dati preoccupanti che ha commentato per noi il giornalista Roberto Zuccolini, portavoce di Sant’Egidio.

Tra i dati Istat sulla povertà assoluta e il vostro bilancio, ne esce un quadro drammatico, forse più del previsto, ve lo aspettavate?
Direi di si, perché fin dall’inizio della pandemia abbiamo assistito a un aumento significativo del numero delle persone in fila alle nostre mense, numero che adesso sta di nuovo aumentando. Purtroppo, la crisi sanitaria ed economica si è inserita in un quadro già di forte fragilità e incertezza, solo recuperando il valore della solidarietà il nostro Paese potrà ripartire. Non si può guardare alle sfide del futuro senza ripensare la società a partire dagli ultimi.

Altri suggerimenti da parte di chi l’emergenza la vive sul campo?
Per ripensare il centro bisogna partire dalle periferie, in senso letterale e in senso simbolico. La pandemia ha messo in luce la centralità delle reti di prossimità per combattere la povertà e l’isolamento di tante persone. La priorità, comunque ora è la vaccinazione, la base solida per ripartire.

Chi sono i nuovi poveri?
Le famiglie mono reddito, le donne sole con figli, gli immigrati a partire dalla comunità filippina, ma in particolare sono due i segmenti della società maggiormente bersagliati e che noi abbiamo potuto avvicinare e conoscere: i precari, quelli che non hanno perso il lavoro perché un contratto non lo hanno mai avuto e gli anziani. Per questi ultimi sono state attivate migliaia di consegne a domicilio, ma anche contatti telefonici e videochiamate, perché molti di loro, oltre alle difficoltà economiche di una pensione che già prima bastava a stento, hanno patito la solitudine.

Come stanno reagendo gli italiani?
Con molta generosità. La Comunità ha registrato, in tutto il Paese, una crescita significativa della solidarietà, testimoniata dall’aumento dei volontari, in gran parte giovani, che si sono rivolti a noi per aggiungersi a chi già da anni offriva il suo aiuto.

Cosa si aspetta la Comunità da parte di chi governa?
Che, appunto, si concepiscano piani di sviluppo a partire dalle periferie. Ma anche dall’ambiente e dai lavori che riguardano i servizi alla persona. Solo un esempio per tutti: se ci fosse stata più assistenza e sanità domiciliare, meno istituti come RSA e case di riposo, ci sarebbe stato un numero inferiore di vittime durante la pandemia. Occorre poi che gli enti locali siano più reattivi di fronte a problemi risolvibili come quello degli alloggi notturni per i senza fissa dimora, tra cui anche quest’inverno, ci sono stati a Roma troppi morti. La nostra non è una condanna: le persone possono e devono essere accompagnate a uscirne. Lo dimostra la nostra esperienza che ormai registra un numero elevato di ex senza dimora.

Lei sta andando in missione in Africa, nel Benin, ma non crede che in questo momento l’Italia rappresenti la vera emergenza?
Certamente l’Italia, come tanti altri paesi, soffre grandemente per la pandemia, ma almeno ora ha la prospettiva del piano vaccinale. Noi lanciamo un vero e proprio appello perché l’Africa non ne resti fuori e perché non si verifichi ciò che è già successo con l’Aids, per il quale, per molti anni, solo l’America e il resto dell’Occidente ha potuto usufruire dell’accesso alle cure. Uno scandalo.
Speriamo che non si ripeta.

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