lunedì, 16 Dicembre, 2024
Società

Laudato Sì e la proprietà al servizio di tutti

Sebbene l’enciclica di papa Francesco LAUDATO SI’ sia stata pubblicata qualche anno fa, tuttavia essa sembra sollecitare una più pacata riflessione, anche in considerazioni delle polemiche che essa ha sollecitato.

L’Enciclica è dedicata a svariate problematiche, tra le quali un rilievo centrale assume quella della tutela dell’ambiente. Tuttavia l’opinione pubblica, nel valutare il testo il testo in esame, ha concentrato la propria attenzione alle scarne considerazioni che in esso vengono svolte intorno al diritto di proprietà.

La vicenda, per tanti versi potrebbe sembrare singolare: il fatto che l’opinione pubblica dedichi la propria attenzione ad una parte dell’Enciclica, che riveste un ruolo secondario, è senza dubbio a sollevare in teoria perplessità.

Ma è ben noto che la progressiva laicizzazione della società civile, ha fatto sì che l’opinione pubblica concentri vieppiù la propria attenzione a quella che viene definita la dottrina sociale della chiesa. 

Si è diffusa così la convinzione che l’Enciclica in esame sovverta quelli che sono stati da tempo i principi che nelle società occidentali governano il diritto di proprietà. Sotto tale aspetto, è sembrato che papa Francesco abbia sovvertito anche le regole ed i principi, che, nella dottrina sociale della Chiesa, governano il diritto in esame.

Ma è veramente corretta tale interpretazione del testo in esame ? Veramente papa Francesco, con l’ enciclica in esame, ha fatto proprie ideologie di  <<sinistra>>, quando non anche rivoluzionarie? 

Una approfondita lettura del testo in esame smentisce, alla radice, tali assunti.

Per una compiuta interpretazione dell’enciclica in questione, occorre preliminarmente considerare che la dottrina sociale della Chiesa, in una certa misura, rappresenta una non lineare invasione della politica. Fu il diffondersi dell’ideologia marxista ed il timore di rigurgiti di tipo corporativistico, a sollecitare, sul finire del secolo XIX, a papa Leone XIII l’elaborazione del de rerum novarum, che è un documento politico, come può agevolmente desumersi, dalla lettura dell’inizio dell’enciclica intitolato, in maniera significativa, <<imperativo dell’enciclica: la questione operaria>>. All’interno di tale documento un rilievo primario non poteva non assumere <<la questione proprietaria>>, che si caratterizza in ragione di una contraddizione: se, da un lato, la proprietà viene considerata un diritto di natura (perché l’uomo è anteriore allo Stato: quindi prima che si formasse il consorzio civile egli dovette aver da natura il diritto di provvedere a sé stesso), dall’altro, essa viene considerata una sorta di bene comune. Il che contiene una contraddizione evidente, giacché il diritto di proprietà è nato ed è germinato, in ragione del suo carattere esclusivo, carattere che rende impossibile considerare comune il bene che è oggetto di tale diritto.  

Si può, dunque, affermare che la dottrina sociale della Chiesa si è sviluppata su una contraddizione, indotta, probabilmente, dall’esigenza di dovere mediare tra le opposte vedute del marxismo e del corporativismo medioevale.

Nel corso del tempo, naturalmente, tale dottrina si è arricchita di nuovi concetti, che, però, non hanno avuto l’attitudine di restituire alla stessa una maggiore coerenza.

Ci si è rifatti, ad esempio, al concetto di funzione sociale della proprietà, formula fatta propria, con ampi consensi, anche dalla nostra Costituzione. Non di meno la formula della funzione sociale non ha e non ha avuto l’attitudine a restituire coerenza alla dottrina sociale della Chiesa. E’ ben noto che giuristi di varia estrazione hanno tentato di attribuire significato alla formula in esame. Orbene, il risultato più significato, acquisito al riguardo si deve Stefano Rodotà, che non era propriamente un giurista che si ispirava ai valori della Chiesa e che ha chiarito che la formula costituzionale della funzione sociale imporrebbe al legislatore di perseguire il massimo collettivo .

Detto questo può affermarsi che la LAUDATO SI’ di papa Francesco rappresenti una svolta nell’ordinamento sociale della Chiesa e, segnatamente, nella concezione cattolica del diritto di proprietà? A ben vedere così non è.

Alla problematica in esame, si è detto, viene riservato un breve passaggio, che riproduce la consueta formula che in questa materia caratterizza la dottrina sociale della Chiesa. Dopo un non chiaro richiamo alla funzione sociale, viene ripreso un concetto già enunciato da papa Giovanni Paolo II e cioè viene posto in evidenza che la Chiesa difende il diritto di proprietà privata, solo che si spiega che su tale diritto grava sempre «un’ipoteca sociale», dal momento che i beni servono alla destinazione generale che Dio ha loro dato. Per cui si spiega che non è secondo il disegno divino gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi.

In definitiva l’enciclica di papa Francesco si inscrive alla perfezione nel solco della tradizione cattolica e delinea una sorta di fine collettivo dell’uso della proprietà privata.

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