Erano gli anni Settanta del secolo scorso e andavamo a Tropea per un congresso sulla terapia del dolore nei pazienti neoplastici. Lui era già un chirurgo famoso, io un giovane oncologo alle prime esperienze con i complessi problemi della terapia medica del cancro. Entrambi eravamo felici di abbandonare Roma per alcuni giorni e ritornare nella nostra bella Calabria. “Puoi vedere, mi disse, tante meraviglie in questa zona. Puoi andare nella parte alta di Tropea e perderti nel panorama mozzafiato che ti si apre sul mare; seguire la costa e giungere a Scilla per lasciarti colpire dalla piacevole brezza marina con lo sguardo lontano, al di là dello Stretto; o dirigerti ancora più a Sud e percorrere il lungomare di Reggio lasciandoti abbracciare dalle maestose magnolie. Puoi anche andare nell’entroterra, alle pendici dell’Aspromonte e visitare il mio paese natio, Cittanova, con i suoi palazzi ottocenteschi e le numerose chiese, fermandoti ad ammirare soprattutto la chiesa dedicata a San Girolamo, fatta costruire da Maria Antonia, figlia della principessa di Gerace Maria Teresa Grimaldi. Ma se vuoi nutrire la vista e allietare lo spirito, respirando l’essenza della ‘calabresità’, devi recarti proprio a Gerace, dove mio padre spesso mi portava da bambino”.
Non ebbi modo in seguito di andare a Gerace, né questo nome mi ritornò nella memoria fino a quando, non molto tempo fa, Francesco Maria Spanò mi fece omaggio del libro Gerace, città Magno-Greca delle Cento Chiese.
Mi è bastato leggere il nome per rievocare il tempo lontano e decidere di leggerlo. Quando inizio a leggere un libro, mi propongo sempre di farlo per intero, pagina dopo pagina, parola dopo parola. Non sempre però riesco a tener fede ai miei propositi: spesso i libri sono prolissi, o usano un linguaggio farraginoso, oppure si rivelano privi di interesse, o sono semplicemente autocelebrativi. Non ti danno alcuna sensazione piacevole, non fanno vibrare le corde del tuo animo, non ti evocano ricordi preziosi; la noia ti assale, il cervello si addormenta e, al risveglio, altro non puoi fare se non lasciare che il libro riempia semplicemente uno spazio della tua libreria.
Paventavo che anche questa volta sarebbe potuta succedere la stessa cosa. Invece…
Già dalle prime pagine ti avvince la felice integrazione tra immagini e scrittura. Potresti scorrere il libro guardando solo le immagini o rivolgere la tua attenzione alla parte scritta, ignorandole. Ma se ti soffermi su di esse mentre leggi, il potere evocativo aumenta considerevolmente e il tuo pensiero vola alto, trasportato da sentimenti che ti fanno piacevolmente rivivere il passato con la sua quotidianità, i suoi spunti originali, le sue indimenticabili amicizie, i tuoi affetti, le tue gioie, le tue tradizioni che fanno ancora parte della vita attuale. Il passato si ricongiunge col presente. Ecco Gerhard Rohlfs, l’enciclopedico autore del Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, la cui edizione del 1977 è sempre a portata di mano sulla mia scrivania. Lo riapro e leggo la dedica: “A voi, fieri Calabresi, che accoglieste ospitali me straniero nelle ricerche e indagini , infaticabilmente cooperando alla raccolta di questi materiali, dedico questo libro che chiude nelle pagine il tesoro di vita del vostro nobile linguaggio”.
Vado avanti e trovo il primo piano del volto delizioso di Rosa Iellamo, poi la “signora dei mustazzoli”, la fiera locale, l’uomo che va alla festa col maialino a guinzaglio che poi prende in braccio per non farlo stancare, il tiro della pignatta, la processione al Santuario con i cumuli di “panari”, le chiese, le strade, le case, i palazzi, i giardini… È un tripudio di immagini accompagnate da descrizioni e considerazioni talora dotte, talora informali, talaltra poetiche o nel nostro “nobile linguaggio”, sempre intese a illustrare la vita vissuta nei suoi molteplici aspetti, nelle sue piccole e grandi cose.
Non ho potuto fare a meno di rivivere con commozione momenti della mia infanzia, quando giocavo per le vie di Amantea, osservavo i pescatori col viso tagliato da rughe profonde e bruciato dal sole, mi fermavo a parlare con le “vecchiette” sedute sull’uscio di casa, tiravo per la giacca mio padre per accompagnarmi alla fiera e convincerlo a comprarmi un maialino, ammiravo le chiese e i palazzi nobiliari, respiravo l’aria pungente del mare in tempesta o guardavo la luna che splendeva nel cielo. La stessa luna che illuminava Gerace, città fortunata che ospita re, regine, scrittori, artisti e Premi Nobel. Che mi ha regalato l’immagine di Renato Dulbecco e con lui il ricordo dei congressi ai quali insieme abbiamo partecipato; e i suoi numerosi articoli scientifici e libri, fonte inesauribile di informazioni essenziali per la mia formazione e la mia attività di ricercatore clinico. Che mi ha trasportato, pagina dopo pagina, in una realtà onirica, risvegliando sensazioni irripetibili. Che ci accoglie a braccia aperte e ci invita a pranzo per sentire gli odori e assaporare i cibi della cucina Spanò.
Terrò il libro sulla mia scrivania, accanto al vocabolario di Rohlfs, per ammirare l’immagine della piastrella raffigurante in copertina la città ideale; per rileggerlo ogni volta che vorrò estraniarmi dalla vita quotidiana; per ritrovare emozioni a lungo sopite. Esso non è solo il racconto della storia e delle abitudini di una bella cittadina calabrese, ma è la rappresentazione emblematica dell’anima genuina della Calabria e dei Calabresi. Per questo, sono certo che non potrò più rinviare di mettere in pratica il consiglio che il mio amico chirurgo mi diede mezzo secolo fa.