È opinione comune che l’ultima crisi politica non potrà essere considerata come l’ennesima crisi di governo. Dovrà essere ricordata, invece, come una vera e propria crisi di sistema. La litigiosità tra i partiti e il dramma provocato dalla pandemia hanno mandato in tilt la democrazia parlamentare. Una democrazia, peraltro, già fortemente delegittimata da una martellante e ossessiva campagna contro la casta e i suoi derivati. Il caos che si è creato e il probabile “default” del M5S non hanno fatto altro che aggravare la situazione. Il nuovo governo è stato paragonato ad un Governo di salvezza nazionale. E non poteva essere altrimenti. È nato infatti su tre pilastri: la campagna di vaccinazione, la definizione del Recovery e soprattutto le riforme strutturali, condizione imprescindibile per ottenere i fondi da Bruxelles. La domanda che in molti si pongono è questa: quanto durerà il Governo Draghi? Quanto il Conte uno o il Conte due? C’è chi vorrebbe il Professor Mario Draghi al Quirinale e ha già previsto per il suo gabinetto la durata di un anno. Terminato il semestre bianco, dicono i bene informati, scade il settennato di Mattarella e al suo posto sarà subito eletto Mario Draghi. È uno scenario realistico, per carità! Ma non è certamente l’unico, nel fantastico mondo di Oz della politica italiana.
Nei giorni scorsi, è intervenuto sull’argomento il Financial Times: “È vitale per l’Italia che Draghi conservi la guida del Governo almeno per due anni, fino alle elezioni previste nel 2023 e non si sposti il prossimo anno nella carica prestigiosa ma meno rilevante di Capo dello Stato”. L’ex Governatore della Bce, per chi non lo avesse ancora capito, è molto più stimato all’estero che in Italia. Ecco perché non può bastare un anno, per un’impresa titanica qual è diventata ormai governare il nostro Paese. Draghi è stato molto esplicito. Seguirà la bussola dell’europeismo in politica interna e dell’atlantismo in quella estera. E quest’orientamento dovrà essere perseguito soprattutto per il Mezzogiorno, perché è giunta l’ora di rivedere dalle fondamenta tutta la politica meridionalista elaborata negli ultimi vent’anni. La seconda e la terza Repubblica non hanno risolto granché per il nostro Meridione. Anzi, se vogliamo guardare in faccia la realtà, la situazione al Sud si è ulteriormente aggravata. Non possiamo più scrivere solo libri dei sogni che mai si potranno realizzare con con tutta questa sarabanda di leggi, regolamenti e decreti degni di una burocrazia da paesi arabi. Ecco allora il soccorso del Recovery. Che non è solo un elenco di opere da finanziare o un arido documento ispirato solo al rapporto costi-benefici.
Questo Piano di rinascita è un documento politico. È, al pari del Piano Marshall, un investimento sulla ricostruzione dell’Europa. Ecco perché, conoscendo il prestigio ma anche il rigore del Presidente Draghi, il Mezzogiorno si appresta a diventare una questione europea. I fondi, lo ha chiarito bene la Commissione a Bruxelles e lo ha confermato ancora meglio il Presidente del Consiglio in Parlamento, dovranno procedere di pari passo con le riforme strutturali. È questa la sfida che attende il Governo Draghi ed è questa la scommessa che coinvolge tutto il nostro Paese e in particolare il Mezzogiorno. Un territorio che ha tutte le potenzialità e le capacità per diventare una forte e moderna macroregione europea.