In tempi così difficili può essere una buona notizia. Eccola: i consumi di legumi sono aumentati del 15% con valori che vanno dal +12% per i ceci al +28% per i fagioli che si classificano come i più amati dagli italiani nell’anno del Covid.
Insomma non è poco sia per motivi di salute, meglio i legumi della carne rossa, e per la spesa delle famiglie. Con un problema, troppi prodotti sono importati da Paesi che hanno norme poco stringenti e quindi da rivedere.
È l’analisi della Coldiretti su dati Nielsen che seguono quelli della Giornata mondiale dei legumi istituita dall’Organizzazione delle Nazione Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) come un’opportunità per aumentare la consapevolezza dei benefici dei legumi per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili.
“A far crescere la domanda di legumi”, sottolinea la Coldiretti, “è stata la svolta green nelle scelte di acquisto dei consumatori con la tendenza a mettere nel carrello cibi più salutari ma anche i lockdown che inducono a fare scorte di prodotti alimentari a lunga conservazione e la necessità di contenere i costi domestici con prodotti convenienti di alta qualità nutrizionale. Ad aumentare”, precisa la Coldiretti, “sono anche i prodotti trasformati a base di farina di legumi come biscotti, crackers, pasta e sostituti del pane”.
Sul fronte nutrizionale i legumi sono un’ottima fonte di proteine e di fibre alimentari, utili per regolare le funzioni intestinali e per il controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. Contengono sali minerali, come ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio, vitamine del gruppo B e, quando sono freschi, anche vitamina C. “Dal punto di vista ambientale – continua la Coldiretti, “le piante di legumi hanno un importante ruolo nella difesa della fertilità dei suoli grazie alla loro capacità di fissare l’azoto al terreno, riducendo l’uso di concimi chimici e contribuendo alla difesa delle acque e dell’ambiente”.
I legumi più diffusi in Italia sono fagioli, piselli, lenticchie, ceci e fave oltre a cicerchie, lupini e soia ma l’Italia può contare anche su molte produzioni tipiche di qualità riconosciute dall’Unione Europea come i fagioli di Rotonda, di Atina, di Sarconi, di Sorana, di Cuneo, vallata bellunese oltre alle lenticchie Castelluccio e a quelle di Alatmura. Le coltivazioni nazionali sono diffuse su oltre 150mila ettari ai quali se ne aggiungono 273mila seminati a soia e soffrono della pressione degli arrivi di prodotto a basso costo e ridotta qualità, magari favoriti dagli accordi commerciali, la produzione nazionale si è drasticamente ridotta rispetto al passato, accentuando la dipendenza dall’estero, nonostante una ripresa degli ultimi anni.
“In piena pandemia da Covid le importazioni di legumi in Italia hanno sfiorato i 389 milioni di chili in crescita del 27% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”, spiega la Coldiretti, “con il raddoppio dei ceci stranieri (+105%) e la corsa di lenticchie (+45%), fave (+23,5%), piselli (+20,8%) e fagioli (+23,5%) sulla base dei dati Istat relativi ai primi dieci mesi del 2020. Il risultato è che tre piatti di fagioli, lenticchie e ceci su quattro che si consumano in Italia oggi, sono in realtà stranieri, provenienti soprattutto da Paesi come gli Stati Uniti e il Canada dove vengono fatti seccare con l’utilizzo in pre-raccolta del glifosate secondo modalità vietate sul territorio nazionale.
Infatti oltre il 90% delle lenticchie consumate in Italia sono straniere, soprattutto americane e canadesi. Ma la dipendenza dalle importazioni è all’incirca della stessa percentuale anche per i fagioli, che”, sottolinea la Coldiretti, “arrivano in gran parte dall’Argentina oltre che dal Nord America, del 70% per i piselli e di più del 50% per i ceci”.
Tra i paesi che esportano i loro prodotti in Italia ci sono anche il Messico, molti paesi del Medio Oriente e la Turchia attraverso la quale avvengono spesso triangolazioni. All’estero non vengono rispettate le stesse normative che vigono nel nostro Paese in materia di utilizzo di sostanze chimiche, come nel caso del glifosato, ma anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro come per i fagioli dal messicani inseriti nella black list dal Ministero del Lavoro degli Stati Uniti nell’ultimo rapporto sullo sfruttamento del lavoro minorile.
Occorre assicurare che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute.