Spesso la Corte europea dei diritti umani “bacchetta” il nostro paese perché pone in essere condotte od omissioni che violano le norme dei trattati istitutivi e i diritti ivi riconosciuti. Non potevano mancare dal lungo elenco di questioni passate al setaccio dai giudici comunitari le problematiche relative ai papà separati di cui ci siamo occupati in questa lunga settimana. Anche in questo caso le pronunce finora adottate hanno evidenziato la violazione dei diritti degli ex mariti.
L’ultima sentenza – che quanto a contenuto non si discosta dalle precedenti, nel senso che si tratta di una ennesima “batosta” – è arrivata nel 2018, ma è stata resa nota soltanto alcuni mesi fa. Per dovere di cronaca e amore della verità dobbiamo anche chiarire che ulteriori pronunciamenti, tutti negativi, si sono avuti nel 2010, 2013 e, dulcis in fundo, nel 2016.
Nel 2018, dunque, la Corte ci ha nuovamente “redarguito” sul piano giuridico, sollecitando l’Italia a riconoscere il diritto alla cd. “bigenitorialità”. Madre e padre, con pari dignità e identiche opportunità, devono poter esercitare il loro diritto/dovere alla responsabilità genitoriale. La Cedu, diversamente da quanto qualcuno potrebbe pensare, non si perde in chiacchiere, ma arriva direttamente al cuore del problema: “Il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e il genitore che non vive con lui”. Attenzioni del tutto disattese in Italia dove, secondo i giudici di Strasburgo, il sistema giuridico e soprattutto quello amministrativo, in particolare legato ai servizi sociali, appaiono del tutto inadeguati per garantire in modo equo e rapido i diritti dei genitori separati nei casi di conflittualità. Come per le precedenti sentenze, anche in questa occasione la Corte europea ha svolto un’analisi accurata del caso in esame.
Protagonista del caso un 49enne romano, esperto di internazionalizzazione, e un figlio nato nel 2006 dal rapporto tra l’uomo e la compagna di allora. La relazione purtroppo sfuma in breve tempo e il padre fin da subito incontra difficoltà crescenti per incontrare il piccolo. Nel 2009 il primo ricorso al Tribunale per i minorenni di Roma con la richiesta di poter vedere regolarmente il bambino.
La macchina giudiziaria si mette in moto e tra 2010 e 2015 arrivano tre decreti che riconoscono la fondatezza delle richieste del padre. Ciò nonostante diventa difficile dare seguito a questa decisione a causa della estrema conflittualità dei genitori che ricorrono a denunce, ricorsi e perizie per ostacolarsi a vicenda. Dall’inizio della vertenza passano quattro anni senza che il padre possa passare anche solo un momento di intimità familiare con il figlio.
Di qui la decisione di chiamare in causa la Corte europea dei diritti umani che in un anno arriva a riconoscere il diritto del padre, aprendo il cuore di tanti padri separati alla speranza di poter andare in Europa per ottenere giustizia. Che poi, in ultima istanza, è il tentativo di restare aggrappati all’unico frutto sano di quell’albero malato che è stato la coppia prima della rottura.
Anche altri genitori hanno intrapreso questa strada in attesa che il Parlamento intervenga nel settore con una legge che metta in coniugi sullo stesso piano…