Esiste una vita di “adolescenti di corsia” che pulsa tra le mura dell’ospedale con i suoi tempi e i suoi modi, una vita che i ragazzi con patologie complesse ben conoscono e della quale hanno già sperimentato limiti e opportunità.
A loro si rivolge “120 young days”, il progetto della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, con il sostegno di Fondazione Pfizer, che mira a valorizzare i vissuti degli adolescenti in cura al Gemelli attraverso racconti di cui sono protagonisti e autori allo stesso tempo.
Centoventi giorni in cui i ragazzi, guidati da professionisti nell’ambito della comunicazione, saranno suddivisi in gruppi di scrittura creativa, sceneggiatura e recitazione per creare contenuti di comunicazione testuale e visiva oltre a uno spot finale di sensibilizzazione rivolto alla società civile.
“Il tempo dei nostri ragazzi è un tempo carico di significati. Le ore trascorse in ospedale sono migliaia e nelle corsie, insieme al tempo, scorrono la paura, l’attesa, i pensieri, le amicizie, gli amori” dichiara la professoressa Daniela Chieffo, responsabile dell’UOS di Psicologia Clinica del Policlinico Universitario A.
Gemelli IRCCS. “Concedere ai ragazzi uno spazio di narrazione gli permette di dialogare tra loro, ma anche e soprattutto, di far arrivare quel racconto all’esterno, perché quella forza della vita che sentiamo nelle corsie dell’ospedale giunga ovunque”.
“La nostra Fondazione da sempre sostiene iniziative che riguardano i ragazzi, troppo spesso ignorati pur rappresentando il nostro futuro. Per questo è un onore per noi supportare il progetto della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS”, afferma Valentina Marino, Presidente di Fondazione Pfizer.
“Crediamo fortemente nel valore della scrittura narrativa per i pazienti come strumento di elaborazione del loro vissuti e come opportunità per poter dire altro, perché la malattia non deve diventare protagonista assoluta e precludere la vita, soprattutto negli adolescenti. Sono convinta che questo sia un percorso importante tanto per loro, quanto per le loro famiglie e per tutti noi che ne potremmo trarre insegnamenti e riflessioni più ampie delle mura di un ospedale”.