Con la chiamata di Mario Draghi, come unica possibile scelta per superare lo stallo del quadro politico, giunge forse al suo epilogo la lunga stagione della delegittimazione del sistema dei partiti e di esaltazione dell’incompetenza come virtù aperta, più di vent’anni fa, dall’offensiva scatenata nel segno di mani pulite.
Da quella data che sembra lontana, ne è nata una dissoluzione, più o meno forzata, di grandi partiti storici, la trasformazione dei nuovi in puri comitati elettorali, l’esclusione degli elettori dalla scelta dei propri parlamentari, come ultima causa della mediocrità estesa nella rappresentanza, il progressivo distacco fra cittadini e istituzioni, specialmente quelle parlamentari, la disarticolazione di fatto dell’unità della Repubblica in piccoli e presuntuosi statarelli, quelli fin ora chiamati Regioni.
Il Governo Conte, nonostante l’abilità e la capacità di mediazione del suo Presidente, gli sforzi per recuperare alla responsabilità e al senso delle istituzioni un movimento politico, M5S, nato nel segno di un ribellismo vuoto di obbiettivi e contenuti suggestivi, le scelte per contrastare il fenomeno sconvolgente della pandemia, non poteva che essere, nelle condizioni rivendicate, condannato ad una vita difficile e grama.
Ora, come ora, l’alternativa a Draghi è chiaramente il caos e l’avventura di nuove elezioni anticipate che danneggerebbero la ripresa di una economia in affanno, ma ancora vitale, che punta molto, come nelle politiche attive del lavoro e dell’ammodernamento infrastrutturale, sulle risorse straordinarie previste dall’Unione Europea.
Vincere la pandemia e rilanciare il Paese: queste le linee fondamentali del nuovo esecutivo annunciate da Draghi.
Speriamo in un nuovo senso di responsabilità dei partiti e dei gruppi parlamentari, ma anche che, dal caos che abbiamo vissuto, riprendano forza idee e progettualità capaci di configurare un dibattito politico di qualità e stimolare nuove aggregazioni per una forte area centrale che sia garanzia di equilibrio per il sistema attuale.