Era inevitabile che a pandemia ancora in corso e con una crisi di governo in atto, il Recovery Plan avrebbe monopolizzato gran parte del dibattito politico. A tutt’oggi, nonostante le modifiche introdotte, non sono stati ancora definiti obiettivi e governance di questo gigantesco piano di aiuti che l’Europa ha destinato ai suoi Stati membri. Diversi osservatori, pur senza entrare nel merito della nuova bozza predisposta dal Governo, hanno fatto notare un dato molto importante. E cioè che il Recovery non è soltanto un documento economico.
Non è solo un elenco di progetti. Non dovrà limitarsi a indicare proiezioni macroeconomiche sul reddito, sull’occupazione e sulla crescita del nostro Paese. No, non è solo questo. Il Piano di rinascita è soprattutto un documento politico. E come tale richiede una visione e un progetto sul futuro dell’Italia. Un documento che inciderà non solo sull’economia dei territori ma sul futuro delle comunità, sulla sostenibilità ambientale, sulla sanità, sull’istruzione e soprattutto sul futuro delle nuove generazioni. In poche parole, il Recovery non dovrà presentarsi solo come testo, ma, per avere successo, dovrà inserirsi efficacemente in un contesto. Ed è con questa chiave di lettura che andrebbe esaminato, soprattutto quando parliamo di Mezzogiorno.
Si possono dirottare al Sud miliardi e miliardi di euro se non si riforma la pubblica amministrazione? Si può ancora tollerare che nelle Regioni meridionali, per costruire una strada, una scuola o un ospedale ci vogliono tempi biblici, con centinaia di visti, timbri, autorizzazioni e collaudi? E che dire poi del nuovo Codice degli appalti e della filosofia che ispira i controlli dell’Anac? E della normativa antimafia che si applica a quei pochi e volenterosi imprenditori che vogliono investire nel Mezzogiorno? Alcune sere fa, ascoltavo un dibattito in televisione proprio su questi temi. E mi ha colpito un’osservazione che faceva al riguardo l’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti. L’intossicazione che ha prodotto nel nostro ordinamento il combinato disposto tra populismo e giustizialismo finisce con il considerare l’imprenditore non un benefattore della comunità ma un potenziale corrotto che ne combina di tutti i colori, in barba alla morale e alle leggi. Il fatto stesso di creare ricchezza per se o per altri è fonte di sospetti e riserve mentali.
Una volta chiesero a Winston Churchill quale fosse la differenza tra comunismo e capitalismo.
E lui rispose così: “Il capitalismo ha distribuito male la ricchezza mentre il comunismo ha distribuito bene la miseria”. Si creerebbe miseria e non sviluppo se i miliardi destinati al nostro Mezzogiorno andassero a finire sul binario morto delle inefficienze, delle clientele o peggio ancora dei circuiti criminali. Ecco allora il punto cruciale su cui dovrà misurarsi la sfida del Recovery: le Riforme. Per essere efficace, il piano di rinascita dovrà essere accompagnato dalle Riforme della pubblica amministrazione, della scuola, della giustizia, del mercato del lavoro.
Ed è qui che Bruxelles vorrà metter il naso, prima di concederci i fondi. Se per costruire un ospedale ci vorranno dieci anni; se per arrivare a sentenza un processo civile ne impiegherà venti e se per mettere un timbro ci vorranno mesi, allora è meglio implorare misericordia dall’Europa e confidare nella sua benevolenza. In altri due passaggi cruciali della sua storia, l’Italia ha saputo dimostrare coraggio, forza e tanto spirito patriottico. È successo dopo l’Unità d’Italia, con la costruzione delle Ferrovie, che unirono il Sud con il Nord. È successo di nuovo con l’avvento della Repubblica, con la costruzione delle Autostrade che hanno collegato l’Italia al resto d’Europa. Con questo Piano di Rinascita, il Mezzogiorno, dopo secoli di storia, potrebbe se non proprio eliminare, quanto meno drasticamente ridurre il suo storico divario dal Nord. Se così fosse, non sarebbe più considerato il fanalino di coda ma potrebbe a buon diritto diventare una grande e moderna macroregione europea.