Di fronte ai gravosi impegni, a partire dal PNRR e dalla lotta alla pandemia, il governo non può andare avanti alla cieca e scommettere che, di volta in volta, tutti i suoi sostenitori vadano a votare compatti per superare la soglia dei 161 voti necessari al Senato. Basta un imprevisto e il governo va in minoranza e rischia di cadere. Una condizione del genere è logorante. Non è accettabile per Conte e non è gradita al Quirinale.
Nell’ultimo voto di fiducia, dopo la fuoriuscita di Italia Viva che si è astenuta, il governo ha raccolto a Palazzo Madama 156 voti, di cui 3 dei senatori a vita che non partecipano ai lavori delle Commissioni e non sempre vanno a votare in aula. Il governo può contare realisticamente su 153 voti. Ne mancano 8 per arrivare a 161, anche se, per avere un margine accettabile di sicurezza, ne servirebbero 17, con i quali la maggioranza sarebbe tranquilla a quota 170.
Conte deve verificare subito se 10-17 senatori sono disponibili a sostenerlo. E qui si delineano tre scenari.
Quello ideale: il Presidente del Consiglio, accertata la disponibilità di altri senatori a sostenerlo sale al Quirinale, si dimette e, non essendo stato sfiduciato, ottiene un mandato per costruire un nuovo governo politico. Con le dimissioni si azzera l’attuale squadra di Governo e si riaprono tutti i giochi. Ma c’è sempre il rischio che improvvisi intoppi facciano saltare gli attuali equilibri e quindi anche il ruolo di Conte. Per scongiurare questa eventualità Conte, prima di salire al Quirinale, dovrebbe riunire i capi dei partiti che lo sostengono e stilare insieme non solo il patto sul programma di fine legislatura ma anche la lista completa di ministri, viceministri e sottosegretari. Ottenuto il reincarico tornerebbe subito da Mattarella con la nuova squadra già pronta. In questo modo ci sarebbe una crisi-lampo, pilotata e senza trappole. Ma i leader di partiti maggioranza sono disponibili a fare questo?
Il secondo scenario è meno ideale ma forse più praticabile: Conte trova i voti necessari al Senato e avvia un rapido rimpasto, più ampio della semplice sostituzione dei posti lasciati vuoti da Italia Viva. Supera lo scoglio del voto sulla relazione del ministro Bonafede, va avanti e in corso d’opera cerca ulteriormente di attrarre nuovi consensi. È l’ipotesi che Conte ritiene probabilmente più realistica e pragmatica.
Se nessuno dei due scenari si verifica non resta altro che andare a votare.
A Mattarella è stata già solennemente certificata dai 3 partiti dell’opposizione questa richiesta. Se anche solo il Pd, di fronte a dimissioni di Conte, dovesse salire al Quirinale per dire la stessa cosa, al Capo dello Stato non resterebbe che prenderne atto, consultare rapidamente Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati e procedere subito allo scioglimento del Parlamento, lasciando l’attuale Governo in carica per il “disbrigo degli affari correnti” e la gestione delle elezioni.
Quanti dicono che le elezioni sarebbero un trauma pericoloso di questi tempi invece di stracciarsi inutilmente le vesti dovrebbero adoperarsi per assicurare una maggioranza stabile al governo. Fatti non parole, per favore!!