La Ong Reporter senza Frontiere anche quest’anno ha pubblicato il suo Rapporto: sono 50 i giornalisti uccisi nel mondo tra il 1 gennaio e il 15 dicembre 2020, e più di due terzi in Paesi “in pace”.
Se, infatti, sono in diminuzione le uccisioni in Paesi in guerra, sono drasticamente in aumento quelle che si verificano in Paesi non in guerra.
Resta ancora elevato il numero di giornalisti detenuti per il loro lavoro, attualmente 387 nel mondo.
Lo scorso anno i giornalisti uccisi sono stati 53, un numero non molto diverso da quello del 2020 ma è essenziale contestualizzare; quello che abbiamo appena salutato è stato l’anno del Covid-19, ossia l’anno in cui il numero di giornalisti impegnati sul campo è stato decisamente inferiore. Inoltre, mentre nel 2019 i giornalisti deliberatamente presi di mira o uccisi per il lavoro che stavano svolgendo sono il 63%, nel 2020 sfiorano l’84%.
Quest’anno si è assistito anche all’incremento del 35% del numero di donne giornaliste detenute arbitrariamente e un aumento di quattro volte degli arresti di giornalisti durante i primi tre mesi della pandemia (14 giornalisti arrestati per la loro copertura sull’emergenza sanitaria sono ancora detenuti).
Questi crimini sono segnati, molto spesso, dalla brutalità e vengono perpetrati principalmente ai danni di giornalisti che indagano sulla criminalità e sulla corruzione locale.
“In Messico, Julio Valdivia Rodríguez, giornalista del quotidiano El Mundo, è stato trovato decapitato nello stato orientale di Veracruz, mentre Víctor Fernando Álvarez Chávez, direttore del sito di notizie locali Punto x Punto Noticias, è stato fatto a pezzi nell’ovest città di Acapulco.
In India, Rakesh “Nirbhik” Singh, giornalista del quotidiano Rashtriya Swaroop, è stato bruciato vivo a dicembre dopo essere stato cosparso di un disinfettante per le mani a base di alcol altamente infiammabile nella sua casa nello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh da uomini inviati da un funzionario locale di cui aveva criticato le pratiche corrotte, mentre Isravel Moses, un giornalista televisivo nello stato sud-orientale del Tamil Nadu, è stato ucciso a colpi di machete.
In Iran, Rouhollah Zam, l’editore del sito web Amadnews e del canale di notizie Telegram, è stato impiccato dopo essere stato condannato a morte in un processo ingiusto. Per la prima volta in 30 anni un giornalista è stato sottoposto a questa pratica arcaica e barbara”.
Dal Rapporto RSF, infatti, emerge che le inchieste più pericolose riguardano la corruzione locale o l’abuso di fondi pubblici (10 giornalisti uccisi) o indagini sulle attività della criminalità organizzata (4 giornalisti uccisi). Il documento evidenzia anche l’elevato numero di giornalisti assassinati mentre coprivano le proteste (7 uccisi nel 2020).
«Alcuni potrebbero pensare che i giornalisti siano solo le vittime dei rischi della loro professione, – ha affermato Christophe Deloire, segretario generale di RSF – ma i giornalisti sono sempre più presi di mira quando indagano o trattano argomenti sensibili. Ciò che viene attaccato è il diritto di essere informati, che è un diritto di tutti».
Questi assassinii, per la loro efferatezza, sembrano appartenere a un mondo che non ci vede coinvolti, eppure l’attacco alla libertà di espressione e d’informazione è dietro l’angolo.
In Italia attualmente sono 20 i giornalisti che ricevono protezione dalla polizia 24 ore su 24 a causa di intimidazioni o tentativi di omicidio da parte della mafia.
La città di Roma e le zone limitrofe riportano numeri in aumento, ma la situazione resta critica anche nel Sud Italia.
Nel Rapporto annuale World Press Freedom Index realizzato da RSF su 180 Paesi e Regioni, in base al livello di libertà a disposizione dei giornalisti, nel 2020 l’Italia si posiziona 41ª.
In cima alla classifica figurano Norvegia, seguita da Finlandia, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi, mentre a chiuderla troviamo la Corea del Nord.
L’indice mondiale della libertà di stampa fotografa la situazione in cui versa la libertà dei media, tenendo in considerazione il pluralismo e l’indipendenza degli stessi, nonché la qualità del quadro legislativo e della sicurezza dei giornalisti di ciascun Paese.
Rappresenta, pertanto, un importante “strumento di difesa basato sul principio dell’emulazione tra Stati”.
«Stiamo entrando in un decennio decisivo per il giornalismo legato alle crisi che influenzano il suo futuro – ha dichiarato Deloire -. La crisi della sanità pubblica offre ai governi autoritari l’opportunità di attuare la famigerata “dottrina dello shock”, per trarre vantaggio dal fatto che la politica è in attesa, il pubblico è sbalordito e le proteste sono fuori questione, al fine di imporre misure che sarebbe impossibile in tempi normali. Affinché questo decennio decisivo non sia disastroso, – ha continuato – le persone di buona volontà, chiunque esse siano, devono fare una campagna affinché i giornalisti siano in grado di svolgere il loro ruolo di terze parti fidate della società, il che significa che devono avere la capacità di farlo».